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Manuale pratico per vivere di rendita

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

20
SET
2018

“E io non tengo tempo di lavorare, io debbo guadagnare!!!”: la frase la pronuncia il fotografo (molto più paparazzo e ricattatore che fotografo) Armandino Caffè, quando fallisce nel tentativo di vendere le prove del golpe organizzato dai colonnelli riuniti attorno grande Ugo Tognazzi a un onorevole, esponente dello schieramento avverso ai “neri” cospiratori. Siamo nel 1973 e la battuta cinematografica fa sorridere, ma anche riflettere, sulla divaricazione tra lavoro e guadagno, già largamente percepita dalla società italiana. Il concetto sotteso è scabroso, per certi versi rivoluzionario, per un paese che si dice fondato sul lavoro: “è davvero il lavoro lo strumento che consente di guadagnare?”
Sono passati 45 anni dagli affanni di Armandino, ma l’arte di arrangiarsi, di guadagnare senza lavorare, o di diventare ricchi senza lavorare, è passata dall’essere un fenomeno di nicchia, vituperato o esaltato, a seconda della ricchezza di chi non lavora, al divenire uno dei temi più discussi dalla nostra civiltà. La scomparsa del lavoro, la ricerca di un nuovo modo di trasferire reddito ai cittadini, la messa in discussione di un dogma laico, ovvero che il lavoro nobiliti l’uomo, sono ormai al centro del dibattito pubblico. In Italia si discute da tempo del reddito di cittadinanza, trattato all’inizio come una sorta di boutade, ma divenuto possibilità concreta per l’azione del governo in carica. In Francia, pochi giorni fa, il presidente Macron ha annunciato un investimento di 8 miliardi di euro per creare una sorta di reddito universale, parlando del dovere dello Stato francese di abolire la povertà per tutti i cittadini, dando a ciascuno un minimo per vivere. Propaganda? Certo, in parte, ma anche un chiaro segnale della crescente consapevolezza che i lavoratori poveri, al pari dei poveri che non lavorano, stanno cominciando a diventare un problema che non può più essere minimizzato, o ridotto alle scelte errate compiute sul piano individuale.
Sempre in Italia, tanto per capire di cosa parliamo, oltre un terzo dei giovani non studia, né lavora, ma si trova in una sorta di limbo, in cui sopravvive grazie alle “paghette” dei genitori o dei nonni, o mediante lo svolgimento di lavoretti saltuari, sottopagati o non censiti dall’ufficialità. Sono tutti giovani che hanno assunto le decisioni sbagliate? Non credo proprio. A Davos, nel febbraio scorso, in una splendida intervista rilasciata da Jack Ma, ideatore del colosso Alibaba, l’imprenditore cinese parla di come la riduzione dei tempi di lavoro dell’uomo sia una sorte ineluttabile. Basta cercare l’intervento su Youtube, lo si trova facilmente e si può ascoltare Jack che profetizza che a breve lavoreremo 4 ore al giorno, pochi giorni a settimana. Un tempo infatti le ore lavorate erano 16, ogni giorno, poi si è scesi, fino alle attuali 8, di media, ma l’evoluzione tecnologica, l’avvento delle macchine, le modalità di produzione di beni e servizi stanno rendendo il lavoro massivo sempre meno indispensabile.
Mentre riflettevo su questi temi mi sono dunque imbattuto in un sito internet che faceva al caso mio: www.viveredirendita.net. Contiene precetti pratici, una visione della vita che, partendo dall’accumulo di un capitale da investire, insegni a vivere senza lavorare, mantenendo un profilo non alienato rispetto alla società. Mi ha fatto sorridere che un simile sito internet esista, mi ha fatto pensare a un segno dei nostri tempi. Un influencer può guadagnare quanto un impiegato, con un semplice post su instagram. Un concorrente di reality show incassa ingaggi da capogiro, pur essendo un uomo qualunque, pagato per mostrarsi come persona qualsiasi. Il lavoro immerso nella concorrenza della massificazione è spesso una fonte di infelicità e di redditi che a stento garantiscono la sussistenza, nel contesto economico in cui si vive. Il 15 settembre, su un inserto del sole24ore è comparso un articolo di Maurizio Sgroi, che invita a pagare le mamme e le casalinghe, piuttosto che concentrarsi su un reddito di cittadinanza. Il lavoro non pagato, sia esso domestico o meno, vale miliardi e miliardi di euro. Stages, tirocini, apprendistati, prove, provini, mostrano una società in cui la remunerazione del lavoro appare sempre meno etica, spesso irrazionale, contraria ai principi di inclusione che il lavoro dovrebbe garantire.
Su facebook il mio gufetto, Anacleto, campeggia sicuro sulla pagina “downshiftingistheway”. Persino lui è un convinto fautore della slow life. Del resto Merlino ogni tanto non scappa a Honolulu, nel caotico e rilassante futuro tropicale? Cesare Pavese scrisse che “lavorare stanca”. La storia sembra dargli ragione.



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