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QUI E ORA/SICURI CHE QUELLO CHE UCCIDE SIA UNO SPORT?

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

4
OTT
2018

La notizia di un nuovo incidente di caccia che ha causato la morte di un diciannovenne di Imperia, ucciso perchè scambiato per una preda, pone nuovamente in discussione l'attività venatoria sul territorio nazionale

2014/2015: 88; 2015/2017: 90; 2016/2017: 80; 2017/2018: 114. No, non sono gli importi in milioni di euro elargiti come finanziamento pubblico a un partito politico e nemmeno le decine di migliaia di alunni iscritti nelle diverse scuole italiane nel 2018. I dati si riferiscono al numero di vittime dirette e indirette causate dall’attività venatoria svolta sul territorio nazionale. Per circa sessanta giorni l’anno, frequentare le campagne e i boschi dove si pratichi la caccia è rischioso almeno quanto un’escursione d’alta montagna in primavera. Naturalmente i dati riguardanti la stagione di caccia corrente non sono ancora disponibili, anche se i recenti avvenimenti di cronaca dimostrano che il dato è destinato a collocarsi nel trend degli anni precedenti. Parliamo d’incidenti diretti e indiretti perché la caccia riesce a causare vittime anche lontano dalle battute. Abbiamo più volte parlato su queste pagine degli infiniti inconvenienti causati alla comunità dal possesso e dall’uso delle armi e, seppure sia possibile considerare, anche non approvando, l’ottica delle vittime di furti e rapine, è davvero improbabile comprendere come si possa restare feriti o morire a seguito dell’uso di armi da sparo impiegate durante la caccia. Per valutare se l’attività venatoria sia davvero così necessaria da dover sopravvivere nel XXI secolo, bisogna affrontare l’argomento con tolleranza e scevri da condizionamenti per meglio comprendere se l’esistenza della caccia, quindi la ricerca e l’uccisione di animali selvatici, sia ancora compatibile con una società moderna ed evoluta. Facendolo bisogna, quindi, tralasciare posizioni estreme e ascoltare le parti. Secondo chi pratica la caccia, questa è un’attività che deve essere preservata perché nata con l’uomo che, quale essere evoluto, può riaffermare la sua priorità sugli altri animali. Altri ritengono che l’attività venatoria sia uno sport come qualsiasi altro e che, pertanto, meriti la dovuta tutela. Per qualcuno, la caccia è uno strumento necessario a controllare le biodiversità attraverso l’abbattimento di specie selvatiche prevalenti. Qualunque siano le opinioni, non avrebbe senso parlare di caccia senza contestualizzarne la pratica. Infatti, discutere sull’abolizione della caccia praticata da piccole tribù dell’Amazzonia o da comunità eschimesi, non ha lo stesso significato se il confronto avviene con le attività venatorie svolte nei paesi dell’Europa. La caccia, sicuramente, non nasce come sport ma si sviluppa ai primordi dell’uomo con la sola finalità di fornire sostentamento e come tale ha assunto una notevole importanza. Resta ancora tale soltanto in particolari situazioni ambientali, dove non esista una valida alternativa all’uso di proteine e grassi animali. Questa condizione, quindi, non può riguardare l’attività venatoria praticata normalmente sui nostri territori dove il concetto di bisogno è ampiamente superato. Ciò che permette la sopravvivenza della caccia che, nonostante la sua inutilità gode d’incredibili privilegi come il permesso di violare la proprietà privata anche all’interno di fondi coltivati, è la sua classificazione fra gli sport. Secondo un principio piuttosto atipico è, infatti, inserita nella “Lista degli sport” redatto dal CONI che la considera tale forse solo per l’uso del corpo umano e l’impiego della competizione durante l’aggiudicazione delle prede. La caratteristica di essere pratica all’aperto a contatto con la natura è, invece, una condizione ampiamente riscontrabile in moltissime altre attività sportive sicuramente più salutari e che non comportino l’uccisione di altri esseri viventi. Circa l’impiego delle armi da sparo, non è assolutamente possibile considerarle alla pari di qualsiasi attrezzo ginnico che, nella maggioranza dei casi, ha una funzione e un uso totalmente differenti.  Anche chi nutre un profondo interesse per le armi, non è costretto a riferirsi alla caccia quale unico sistema per adoperarle. Ci sono, infatti, molti sport che utilizzano armi anche molto differenti, senza dover procurare l’uccisione di animali. La caccia non trova una fondata giustificazione neppure come strumento per equilibrare le popolazioni di animali selvatici che, comunque, senza l’eccesso di antropizzazione o l’intervento dell’uomo, sarebbero in condizioni per farlo autonomamente. Al contrario, l’attività venatoria ha causato l’estinzione e l’impoverimento di molte specie e a nulla è valso ripopolare alcune aree del territorio con le specie estinte. Questa tecnica, più utile a fornire nuove prede ai cacciatori che a ristabilire gli equilibri naturali, ha causato invasive e prevaricanti presenze animali, proprio perché attuate in assenza dell’ecosistema e delle biodiversità originali. Intendere la caccia come sport è, evidentemente, solo un pretesto per giustificarne ancora l’esistenza. Nessun’altra attività sportiva determina così tante alterazioni territoriali e sociali preservando, nel contempo, privilegi medievali. L’attività venatoria, in breve, è solo un’espressione arcaica dell’uomo che desidera considerarsi artefice del futuro di una preda, condizione assolutamente inadeguata a una società civile. Qualsiasi sport comporta conoscenze teoriche affiancate da preparazione atletica e psicologica perché sia praticato correttamente, al contrario della caccia dove non sono richieste particolari doti se non quelle di una discreta salute mentale e fisica, oltre la conoscenza di alcune sommarie norme sull’uso delle armi e sulla distinzione delle specie da cacciare. La competizione è solo finalizzata alla capacità di abbattere più prede possibili, quindi di uccidere. Per le sue caratteristiche, la caccia è definita uno sport popolare ma, in concreto, la sua pratica è molto dispendiosa. Neppure la normativa per l’esercizio è univoca sul territorio nazionale, tant’é ogni regione apporta i suoi adattamenti giustificandoli con le peculiarità dei luoghi. La caccia, quindi, non ha motivi concreti per esistere ma gode d’imponenti protezioni: quella dei produttori di armi e quella del mondo politico che nei cacciatori ha individuato una proficua sacca elettorale cui non vuole rinunciare, tanto da assecondarne ogni richiesta e ostacolare tutte le mozioni popolari mirate a eliminarla definitivamente. Oltre lo spirito animalista che muove gli oppositori, è innegabile che l’attività venatoria sia crudele, insensata e pericolosa. Senza timore di smentita, la caccia praticata nei paesi cosiddetti civilizzati, riveste l’unico significato di uccidere esseri viventi in condizione di palese svantaggio, contribuendo, nello stesso tempo, all’alterazione delle biodiversità. La caccia è causa di un alto costo sociale dovuto alla sua gestione e ai danni che determina, primo fra tutti gli incidenti dovuti all’uso inappropriato delle armi da sparo. I cacciatori, infatti, non sono sottoposti ad addestramento, a seri controlli psico-fisici ed è quasi impossibile verificare il corretto funzionamento e omologazione delle loro armi. Chi pratica la caccia, inoltre, non è soggetto a un rigido regolamento etico e comportamentale. È sufficiente costatarlo osservando quanto piombo e quanti bossoli siano abbandonati sui territori di caccia senza che nessuno possa mai più rimuoverli. Circa la pericolosità, così come accennato, la caccia è causa di frequenti incidenti anche con esito mortale, anche nei confronti di chi ne è estraneo, data la quasi illimitata estensione del territorio nazionale utilizzato per l’attività venatoria. Per due mesi l’anno, tutelare la propria incolumità comporta la rinuncia a frequentare boschi e campagne per favorire le velleità di chi, al contrario, ne favorisce la distruzione.

 



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