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TEMPO REALE/COME IL CALCIO ITALIANO PUO´ RIPRENDERSI

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

10
OTT
2018

Amatissimo o odiatissimo che sia, quella del nuovo patron del Monza col suo fido Galliani, potrebbe rivelarsi un’idea geniale. Un esperimento calcistico, più che un’avventura, da tenere sotto osservazione: forse uno dei più interessanti degli ultimi anni


La mancata qualificazione della Nazionale italiana agli ultimi mondiali di calcio ha spianato la strada a molte critiche e molti interrogativi circa il declino del calcio italiano e il suo progressivo ridimensionamento rispetto alle grandi del mondo. Non soltanto perché il mercato si è evoluto, con l’ingresso in scena di importanti magnati asiatici e l’immissione di nuovi capitali finanziari nelle società italiane (vedi Milan e vedi Inter), ma anche e soprattutto perché già da tempo si è scelto di disinvestire sulla crescita dei vivai e sulla formazione di giovani talenti locali da lanciare poi sullo scenario internazionale del calcio che conta. La nuova moda del ventennio pare sia divenuta, invece, comprare calciatori già belli e pronti da campionati esteri per essere sempre più competitivi nelle competizioni europee. Non è un caso se sono scomparse anche le vecchie bandiere e – Buffon a parte – di nuovi Totti e Del Piero, nati e cresciuti sin da ragazzini con la stessa squadra e da sempre con la stessa maglia e lo stesso numero cucito addosso, se ne vedono ben pochi.
Si vede sempre poco meno ormai - all’incirca dal 2006 ad oggi, l’anno della inaspettata impresa mondiale dei ragazzi di Lippi - lo stile classico all’italiana. Sia in campo: con difese a catenaccio, passaggi corti palla a terra, contropiede. Sia fuori dal campo: facce pulite, ragazzi umili venuti dalla gavetta, calciatori operai, e gente seria con un grande cuore.
Mancano insomma i vari Roberto Baggio. E mancano soprattutto le grandi difese. I grandi blocchi, tutti muscolo e cervello, di giocatori provenienti dalla stessa squadra: quelli forti, impenetrabili, che si conoscono a memoria. Fatti tutti con lo stesso imprinting. Usciti tutti dalla stessa scuola. Giusto per intenderci, grandi blocchi, un po’ come quelli che Arrigo Sacchi seppe imporre al suo Milan prima, e alla sua Nazionale dopo nel lontano ’94 in Brasile. Interisti, juventini e napoletani non ne vogliano: ma chi scorderà mai di quei muri indistruttibili che hanno difeso la principale squadra di Milano composti dai Baresi, dai Tassotti, dai Maldini, dai Costacurta, Nesta o Albertini? E chi scorderà le falcidiate a centrocampo di quel mastino di “Ringhio” Gattuso? La classe dei Pirlo o i piedi degli Inzaghi?   
Tornare ai vecchi valori, riportare gli ormai dissolti princìpi dello scorso ventennio nel calcio italiano non è allora soltanto il comune sentire dei vecchi nostalgici ma deve essere anche, e sicuramente, una possibile ricetta per il riscatto agonistico dello sport nazionale per antonomasia.
Tifosi o non tifosi, d’accordo o non d’accordo, tornare poi al vecchio stile inconfondibile rossonero, al brand vincente degli anni Novanta e alla “filosofia” Milan potrebbe rivelarsi invece un’intuizione quasi geniale di un affiatato duo dirigenziale del calcio italiano (Berlusconi-Galliani) che proprio col Milan in pochi anni hanno vinto tutto, in Italia e nel Mondo. Ma, dopo aver ceduto il timone dello stesso alle nuove rampanti dirigenze internazionali, stavolta ci provano a ripartire proprio dal piccolo. Dal Monza.
L’acquisto dello sventurato Monza Calcio, in preda a burrasche finanziarie e continue diatribe societarie (seppure paradossalmente si tratti di una bella piazza calcistica considerando che sin dagli anni Ottanta ha scritto la storia della serie B italiana), infatti, neanche a farlo apposta può dare certamente nuova linfa vitale al calcio italiano.
Se sotto il profilo imprenditoriale la “mission” del nuovo proprietario del Monza Calcio - l’amatissimo ovvero odiatissimo S. B. - sembra essere appunto molto chiara: sfornare giovani atleti e rivenderli alle società maggiori per realizzare plusvalenze economiche (una vera macchina da soldi!), sotto il profilo romantico la sfida si fa davvero più interessante. Egli stesso l’ha infatti dichiarato e ha delineato i tratti di quelli che devono essere i calciatori perfetti della nuova squadra: ‹‹tutti italiani, corretti con gli avversari, disponibili con i tifosi, vestiti con sobrietà e senza tatuaggi né orecchini››. Dallo stile un po’ brianzolo, dunque.
‹‹Proprio ciò che manca al calcio attuale››. E come dargli torto… Non perché i tatuaggi e gli orecchini siano immorali, o, talvolta, ornamenti antiestetici. Sia chiaro. Probabilmente perché i crestini alla El-Shaarawy, le cuffiette alla Balotelli e gli orecchini al lobo alla Cassano ci riportano alla mente le disfatte degli ultimi anni e la mediocrità di gioco rispetto ai modelli vincenti del passato. La prevalenza dell’immagine sulla sostanza. E allora meglio ripartire dalla sostanza: è forse questo il senso della nuova avventura berlusconiana.



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