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CRONACHE DI UN CONNESSO VIAGGIATORE/LO SBRONZO DI RIACE

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

15
OTT
2018

Prima che il lettore allibito mi chieda se il titolo delle cronache di questa settimana non sia un lampante caso di “aliud pro alio” io metto le mani avanti: avete sicuramente inteso male il labile. Sarà stata la distanza, o forse il misticismo, ma mi rifaccio al mio amico e mentore, il vigile Otello Celletti, e nego con decisione ogni intento allusivo e offensivo. Dunque? Perché mai l’ubriachezza, o forse occorre dire l’ubriacatura, nella città dei celebri bronzi? A Riace abbiamo forse scoperto rigogliose piantagioni di Nebbiolo? Non mi pare. Resta dunque un percorso ad esclusione, una riedizione in salsa nera dei dieci piccoli indiani, morti ad uno ad uno, scomparsi e dissolti. Accade anche a Riace, ma qui di indiani non ce ne sono. C’è un sindaco che si trova calato in un territorio in cui essere puro è impossibile, perché il prima, il mentre e il nonostante in cui è immersa la sua terra lo obbligano a invischiarsi nell’impurità. Mimmo Lucano lo fa, costruisce un modello di accoglienza che strappa alla criminalità ed all’emarginazione centinaia di persone, provando a valorizzare il capitale umano che si trova a gestire, destinandolo alla pacifica convivenza civile tra italiani e migranti. Riace diventa un punto di riferimento internazionale, per molti è il simbolo di come ci si possa arrangiare, tra mille difficoltà, per plasmare il male, fino a farlo sorgere in opere di bene.
La gente ci crede, la comunità è vicina a chi si spende in questo sogno, ma esistono relazioni che raccontano di incuria, gestione non conforme alle regole, superficialità nelle procedure. Esplode così quella dimensione crudele che sparge sale nelle fratture tra diritto e giustizia, tra regola e prassi, mondo ideale e sudicia realtà. Il giudizio deve muoversi a fatica. C’è chi afferma che alcuni migranti vengano trattenuti nella città della Locride oltre il limite temporale previsto dalle norme dello SPRAR (Sistema Protezione Richiedenti Asilo e Rifugiati) per evitare la disgregazione di nuclei familiari che comprendono anche minori in tenera età. Il Ministero dell’Interno lamenta un uso dei fondi statali che sfocia nell’assistenzialismo e che non riesce a dare prospettive di emancipazione alle persone tutelate dal progetto. Riace diventa così l’emblema delle difficoltà di chi si sporca le mani, costretto a scegliere tra l’inerzia di quelli che possono permettersi di agire solo quando tutto funziona a dovere e gli altri, quelli che operano nell’emergenza, che proprio non possono costruire la città di Dio in un inferno di normale e terribile anormalità.
Il labiale a questo punto si ribella. Riavvolgo il nastro, ripenso a Otello, a come di fronte al Giudice cambi versione, a quello sbronzo che non era davvero sbronzo, ma che non si può più dire, perché “vede… uno alle cose ci pensa, poi guarda i figli… e ci ripensa meglio…”
Mimmo Lucano è un sindaco/simbolo, osannato e vituperato, innalzato agli onori delle cronache per aver fatto qualcosa di esaltante e irregolare. Del resto, che alcune scelte della sua gestione abbiano sfidato le leggi non è da mettere in dubbio, perché lui stesso avrebbe rivendicato con orgoglio una disobbedienza a norme che a suo dire lo avrebbero costretto ad azioni inumane. E’ dunque sbronzo? Perché ha scelto di immergersi in questa vasca sporca? Quali vantaggi ha tratto dal suo impegno? Le notizie di stampa non narrano di malversazioni e arricchimenti, persino le riservatissime e pubbliche carte bollate raccontano di un’irregolarità priva di reati.
Alle latitudini di Samarcanda un Re straniero giocava a scacchi con la morte. Chiudo gli occhi, vedo un uomo che rischia di suo per affermare la vita. Mi chiedo chi glielo abbia fatto fare. Chissà che non sia davvero un povero sbronzo.



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