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TEMPO REALE/ABOLIZIONE DEL NUMERO CHIUSO A MEDICINA, (NESSUN) PRO E (TUTTI) CONTRO

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

24
OTT
2018

Con un comunicato il governo gialloverde ha annunciato che la nuova legge di bilancio per il 2019 conterrà l’abolizione del numero chiuso nelle facoltà di medicina. Il rischio è mortificare il merito, dequalificare l’offerta formativa e alterare il mercato del lavoro. Tutto in cambio di una mancetta elettorale

Era quasi tutto fatto. La manovra sembrava tagliata ad hoc per essere sventolata alla Patria e rivenduta ai tanti giovani italiani se non altro per accrescere i consensi e le manie di narcisismo di alcuni singoli componenti del Consiglio dei ministri. Ma un’attenta riflessione e una levata di proteste da parte di alcuni rettori di atenei avrà messo il governo italiano in condizioni di andare cauto sulla questione e temporeggiare con gli spot e gli annunci trionfali. Tanto che a oggi, giacché il testo definitivo non è stato ancora reso noto, restano delle zone d’ombra sulla legge e non si parla più di una misura “lampo”, di una cesura col passato, ma semplicemente di (timidi) interventi graduali che porteranno solo a un lieve aumento del numero degli studenti iscritti a Medicina e Chirurgia.
Forse meglio così, perché le conseguenze di riforme fatte in maniera così frettolosa e superficiale potrebbero rivelarsi persino deleterie per il Paese compromettendo inevitabilmente il futuro di tanti giovani italiani in particolare, probabilmente illusi e assetati di un guadagno facile e largo come quello che promette l’affascinante professione di medico chirurgo.
Effettivamente, in un mare così burrascoso di crisi economica che ha investito prettamente il ceto medio italiano, la secolare professione di medico è stata quella che ha retto maggiormente l’urto confermandosi ancora una delle più pagate in assoluto. Ed è forse questo che ha spinto negli anni, e spinge tuttora, tanti giovani neodiplomati italiani a voler intraprendere gli studi universitari in tale ambito. Una domanda in termini di numero degli iscritti che andava certamente mantenuta sotto una certa soglia, non tanto per tenerla in linea con l’organizzazione meramente strutturale degli atenei italiani, quanto perché si tratta pur sempre di una professione delicata (visto che si ha a che fare con la salute della gente) e un percorso universitario assai arduo, ricco di discipline che presuppongono già a monte un elevato grado di conoscenze culturali pluridisciplinari. Ed è questa la ratio che ha giustificato nel nostro Paese l’introduzione di test d’ingresso molto difficili come barriera all’ingresso per l’iscrizione a Medicina. Non a caso – come si dice – le università italiane restano tra le più prestigiose del mondo.
Scegliere di iscriversi a Medicina non è certo poi una “passeggiata di salute” per i giovani italiani, ma una vera e propria scelta di vita. Il percorso italiano prevede un ciclo di studi di sei anni con frequenza obbligatoria in quasi tutte le discipline e per essere ammessi al corso di laurea occorre preliminarmente superare, appunto, un test molto difficile con domande di logica, cultura generale, biologia, fisica, matematica e chimica. Tanto che attorno alla preparazione dello stesso si è persino creato un vero e proprio business per università telematiche ed enti di formazione privati che offrono corsi preparatori per il superamento.
Non appena ultimati gli esami di maturità, occorre allora mettersi subito a studiare alacremente per i test d’ingresso, generalmente previsti intorno al mese di settembre, e non superarlo, spesso, è anche mortificante per taluni giovani studenti che andranno a rimpinguare invece facoltà affini di ripiego come biologia, biotecnologie o altre professioni sanitarie (talvolta per ritentarlo l’anno successivo con la speranza di passarlo e farsi convalidare gli esami coincidenti). Talaltri, invece, vanno ad alimentare persino un certo “turismo universitario” verso Atenei esteri dove, sebbene a costi altissimi, alcune facoltà di medicina non prevedono numeri programmati di accesso: è il caso della “Carol Davila” di Bucarest in Romania, della “Cattolica Nostra signora del Buon Consiglio” di Tirana in Albania, o ancora della “Medical University” di Sofia in Bulgaria ove in quest’ultimo il corso ha durata 4 anni previa una breve frequentazione di 2 anni al Campus di Chiasso in Svizzera.
In Italia, invero, si parla di circa 67.000 iscritti ai test di Medicina nel 2018 (1.000 in più rispetto al 2017), per un massimo di 10.000 posti disponibili in tutte le facoltà del territorio nazionale. Già di per sé un numero assai ampio di studenti alla ricerca di una professione economicamente redditizia e professionalmente gratificante come quella del medico.
Difatti, generalmente, dopo la laurea e l’esame statale di abilitazione che consente l’iscrizione all’Ordine dei Medici, è possibile (e questo con estrema rapidità) già esercitare all’interno di presidi di guardie mediche o in altri ambiti clinici privati. Anche la specializzazione, fatta “sul campo”, in un dato ambito medico è retribuita: si parla di una retribuzione che si aggira intorno a 1.700 euro.
Secondo alcuni dati resi noti dall’Enpam, ossia la Cassa previdenziale dei Medici, lo stipendio medio di un medico oscilla tra i 3.000 e i 4.000 euro al mese; mentre retribuzione ancora ben più elevate sono quelle di primari e dirigenti ospedalieri. I medici di base, meglio conosciuti come “medici di famiglia”, guadagnano invece sulla base del numero e delle caratteristiche dei propri pazienti. Un discorso a parte va fatto infine per alcuni liberi professionisti che esercitano in studi privati: i più importanti medici e professori italiani arrivano anche a guadagnare cifre di gran lunga più sostanziose.
Non è bene, tuttavia, voler fare i conti nelle tasche degli altri ma - per contro - è certamente funzionale a comprendere quali sono le cause che spingono i giovani italiani a voler intraprendere tale percorso. Prognosi, diagnosi, terapia, intervento: esercitare una delle professioni più antiche del mondo è davvero entusiasmante, ma non anche facile. Occorre allora non soltanto una “vocazione” interiore per la cura dei pazienti ma una preparazione culturale non indifferente per operare sulla vita umana. Mortificare il merito, rischiare di declassare un’intera categoria - diffondendo altresì nel mercato del lavoro una marea di ulteriori nuovi laureati in Medicina a rischio inoccupazione, così come è accaduto per altre professioni non regolate da un accesso universitario programmato - vuol dire anche procurare non pochi traumi al sistema universitario italiano.
E vuole dire al contempo propagandare un modello culturale sbagliato, illiberale e per questo completamente da evitare.

 



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