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CRONACHE DI UN CONNESSO VIAGGIATORE/ PICCOLI EGO CRESCONO

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

30
OTT
2018

La spiegazione agli orientamenti collettivi che non ci piacciono è diventata sempre più spesso una strana forma di licantropia. La battaglia per la sopravvivenza infuria, il valore dell’individuo si deprezza vertiginosamente e al mercato dei corpi e delle anime un giorno strappato alla fame è una medaglia assai più importante di qualsiasi riconoscimento morale o intellettuale. La crisi dell’intellighenzia si protrae ormai da molti anni, ma pare essere giunta ad un punto apicale. La parola ed il senso scompaiono, mentre si afferma perentoriamente il gesto e la postura. C’è chi parla di regressione, chi fa mea culpa tortuosi, chi cerca di sfangarla. Il lettore distratto sarà certamente d’accordo nel tentare la terza via, nella riproposizione giocosa dei percorsi di avvicinamento al socialismo, di ortodossa memoria. Anche il downshifter propenderà per questa soluzione, forte di una filosofia pratica che ripudi senza troppo fronzoli la scienza infusa del sacrificio all’altare dei posteri.
Il Prof. Bellavista, pensatore epicureo della Napoli degli anni 80, si chiedeva infatti cosa mai avessero mai fatto per noi questi posteri. Attorniato da qualche disoccupato, un generale in pensione, “… nu munnezzaro e  na schifezza e purtiere…” (definizione mirabile della moglie di Bellavista, n.d.a.), egli esprimeva, con tutta la forza della sua tradizione popolare, il bisogno di vita che permea l’homo nudus contemporaneo. Era il trionfo dell’arte di arrangiarsi, quella che portava il povero Alfonso Caputo, altro personaggio partorito dalla fantasia di Luciano De Crescenzo, a fare il giro della città, per trovare le centomila lire necessarie a sparare i fuochi del 32 dicembre. Sissignore, 32 e non 31, perché nulla è sicuro e se fate conto di stare a Calcutta, per voi la mezzanotte di Napoli sarebbe più mezzanotte di quella di Calcutta? (Ibidem).
Qualcuno potrebbe chiedersi: ma dove vuole arrivare oggi il connesso viaggiatore? Come si collega Alfonsino Caputo alla vittoria del populismo destrorso e muscolare nelle elezioni presidenziali brasiliane? I quesiti sono apparentemente centrati, ma in realtà il nesso c’è. Abbiamo infatti ritenuto che l’uomo fosse disposto in eterno a farsi portatore di grandi ideali, che in cima a quel muro, a sparare contro le ingiustizie, ci si stesse comodi, o comunque contenti, sorretti dal fuoco della passione. Scopriamo invece di essere umani, di volere che una parte di quelle risorse così ingiustamente gettate nel gioco della vita mondiale ci sfiorino. Apriamo la bocca, ci profondiamo in lunghissimi “oh…” di sgomento, quando Bolsonaro manifesta apertamente la sua omofobia e il sessismo sfrenato verso le donne e ci chiediamo come sia possibile che la gran parte del suo popolo lo indichi come risposta alla crisi interminabile del gigante verdeoro.
Volevamo un mondo governato dagli ideali più nobili e puri, lo abbiamo lasciato nelle mani di meccanismi così odiosi, distanti, incomprensibili alla gente comune, da scatenare reazioni di ripulsa verso una socialità evoluta, ma sembriamo stupirci della situazione. Abbiamo da tempo rinunciato a mettere in discussione la sopraffazione e la legge del più forte come elemento regolatore delle nostre comunità, ma inorridiamo quando tali principi vengono fatti propri anche dalla politica. Perché mai? Cosa c’è di diverso nella teorizzazione della soppressione del più debole, del diverso, dell’emarginato, propugnata dalle nuove forme di fascismo contemporaneo, rispetto al fascismo del mercato globalizzato? Non è forse lo stesso gioco? Se funzioni vai avanti, se perdi sei fuori. “Niente rispetto per i propri simili, perché gli ultimi saranno gli ultimi se i primi sono irraggiungibili”, cantava qualcuno. Dunque è proprio così. Fucilate alla bocca, ci rivedremo all’inferno, si salvi chi può. Va in onda un gigantesco format con le regole degli spietati ammazzacristiani di Clint Eastwood. Non c’è morale, né logica, né giustizia o pietà. Meglio a te che a me.   

 



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