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CRONACHE DI UN CONNESSO VIAGGIATORE/CESSINO I DOLORI

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

5
NOV
2018

“Coraggio, entriamo nei personaggi”, esclama Vincent Vega, prima di cominciare a fare il killer. Se potessi scegliere il mio, oggi sarei il Dottor Divago. Ok, mi rendo conto che il tutto potrebbe apparire una forma di divagazione inaccettabile, anche perché l’etica delle cronache di un connesso viaggiatore impone di analizzare un tema ogni settimana, rifuggendo dall’approssimazione. Avete però presente quelle lunghe sequenze di quadri, che si specchiano l’una dentro l’altra? Io sì. Da bambino mi capitava di tagliarmi i capelli in uno sgabuzzino e c’erano due specchi, messi l’uno di fronte all’altro, che sembravano riflettere decine di immagini, l’uno dell’altro. Il Dottor Divago è uno dei personaggi di Vincent Vega, che parla di sé e del suo peregrinare, senza sfuggire all’osservazione dello specchio posto di fronte.
Divagando devo dunque affrontare la separazione della Isoardi e del Sor Salvini. E’ il fatto caldo di queste ore, la rottura social che interroga l’ironia, o meglio, la vastità dell’ironia che ce ne frega, edulcorando la cosa. Fatto. Ce ne siamo occupati e con estrema signorilità. No, in realtà non vi ho convenuti in queste pagine specchiate per parlarvi di cronaca rosa dei VIPS. Nonostante qualcuno ci possa invitare a rovistare nel torbido, noi saremo sempre integerrimi, con qualche deviazione. Parliamo invece delle stazioni ferroviarie, della moda dei bagni a pagamento, delle somme necessarie a entrare in codesti bagni: un euro. Parlo di Napoli e Milano, per esperienza recente e dunque non vi mentivo quando narravo di specchi contrapposti. Il viaggio qui si fa reale e virtuale, l’osservazione dello scritto riprende fedelmente la vita vissuta. “Libri che parlano di libri, che a loro volta raccontano di libri…”, raccontava un autore australiano del ventesimo secolo avanti Cristo. I bagni: elemento di civiltà estrema, tormento ed estasi di qualsiasi sociopatico, connesso di malavoglia con i riti della civiltà occidentale. Da buon uomo di lettere, ogni volta che in un paese noto una diffusa presenza di bagni, immacolati e candidi, agli antipodi, per intenderci, della peggiore toilet della Scozia immortalata da Danny Boyle per l’uso osceno e immaginifico del giovane Renton, tendo ad accordare a detto paese un generoso bonus nella mia personale classifica di gradimento. “Il bagno è vita”, direbbe uno. Trovo dunque estremamente disdicevole che le stazioni ferroviarie, luoghi che di per sé dovrebbero essere accoglienti, puliti, ospitali verso il viaggiatore, mostrino differenze tanto stridenti dalla politica adottata negli aeroporti. Il classismo dei trasporti sembra mietere vittime sempre più illustri. Osservando la folla ininterrotta di uomini e donne costretti all’esoso bisogno, ho effettuato un rapido conteggio. In un’attesa vigile, ho contato circa cinquanta ingressi in pochi minuti. Cinquanta euro, che moltiplicati per l’intera giornata fanno migliaia di euro. Un fiume di denaro che non cessa, tutto ottenuto sfruttando la necessità dell’uomo comune di recarsi al cesso.
Appare chiaro che i dolori non possano essere oggetto di speculazione, per chi voglia dirsi civile. La rincorsa dei pubblici esercizi presenti nelle stazioni dei treni alla disdicevole dismissione dei cessi è quanto di più incivile si possa riscontrare. Allo stesso tempo, mentre in un tempo indefinito, maledicevo il mio secondo euro, cercando di escogitare sofisticate strategie per evitare di arricchire l’occulto gestore del cesso della stazione ferroviaria centrale di Milano, ho provato ad immedesimarmi in questo squallido business.
Vogliamo dirci cristiani, ma aboliamo i bagni pubblici nelle stazioni. Che cessi! Che cessi tutto questo, e al più presto.



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