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TEMPO REALE/LA VIA SPAGNOLA ALL´AVVOCATURA: È IL MERCATO, BELLEZZA!

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

15
NOV
2018

Sovente si parla di critica al merito degli Abogados. Ma siamo sicuri che imparare una nuova lingua, conoscere le declinazioni del diritto in altre parti d’Europa, o ancora imprimere una certa accelerazione al proprio percorso professionale non sia una possibilità per i tanti giovani italiani? Siamo sicuri che il merito vale solo a monte per lo svolgimento della prova d’esame e non si acquisti anche a valle, giornalmente, sul campo pratico degli studi legali e dei tribunali italiani?

L’Unione Europea, come ben sappiamo, in linea con i suoi princìpi, sin dai primi anni Novanta ha aperto la strada a nuove opportunità professionali in favore di tanti giovani universitari e laureati europei. Tuttavia, attraverso un lungo percorso di liberalizzazione dei mercati - compreso il mercato del lavoro - ha imposto a tutti i suoi Stati membri un complesso, quanto farraginoso, processo di armonizzazione delle singole normative statali.
Un’opera di non facile realizzazione, che spesso ha creato caos e portato alla luce non poche lacune normative ovvero organizzazioni amministrative contrastanti tra i vari Stati che impediscono di fatto sulla carta una vera e propria unificazione del sistema giuridico europeo. Tra queste, spicca in particolare la questione della regolazione dell’accesso alla libera professione che, con la speranza iniziale di essere univoca per tutti gli Stati membri, ha rivelato invece numerose falle legislative e messo a nudo gravi pecche dell’Unione Europea, talvolta rendendo addirittura più difficile il processo di integrazione interstatale sul terreno mercato del lavoro.
È noto, al proposito, che taluni Ordini dell’avvocatura italiana quasi mai hanno visto di buon occhio quello che i media hanno definito “turismo togato”, ossia il viaggio di tanti giovani (e non) laureati in Giurisprudenza - e persino in Scienze politiche - verso le mete spagnole per diventare Abogados prima, e Avvocato poi, esercitando regolarmente in Italia dopo aver probabilmente “aggirato” furbescamente la stessa normativa italiana che prevede un esame di abilitazione alla professione piuttosto impegnativo. Esame non solo corposo per la mole di discipline da preparare ma anche complicato per le modalità pratiche di svolgimento e il meccanismo di valutazione degli elaborati, ove è un dato di fatto che annualmente le Commissioni bocciano in media circa il 40% dei candidati (un dato, per i più maliziosi, volto anche a regolare e a contenere il numero degli iscritti all’ordine entro una certa soglia).
Eppure, le direttive europee parlano chiaro: ogni cittadino comunitario che abbia conseguito il titolo professionale di avvocato può svolgere l’attività forense in ogni Stato UE. Così, piuttosto di angosciarsi e arrendersi all’idea di non riuscire mai a realizzare il sogno di diventare degli affermati professionisti, per molti giovani italiani sarebbe meglio tentare la via spagnola all’avvocatura. Una via sicuramente più rapida e forse anche più indolore, giacché l’ordinamento Reale non prevede una prova d’accesso così difficile da superare quanto vincere un terno al lotto ma liberalizza direttamente l’iscrizione all’albo: così una volta divenuti Abogados in Spagna sarà già possibile esercitare a pieno titolo in Italia passando semplicemente da un’iscrizione transitoria di tre anni nella sezione particolare degli “Avvocati Stabiliti” presso il proprio Ordine provinciale di appartenenza, e il gioco è fatto.
Ad ogni modo, per sostenere l’esame all’estero spesso ci si rivolge ad agenzie che si occupano di sbrigare tutto l’iter burocratico offrendo pacchetti completi di soggiorno, corsi di lingua riconosciuti, tasse universitarie, e asseverazione di documenti ufficiali per l’omologazione e il riconoscimento del titolo in Italia. Il tutto con costi onnicomprensivi che si aggirano mediamente attorno ai 5.000 e 6.000 euro. In particolare, fino al 30 ottobre 2011 la Spagna non prevedeva alcun esame per diventare abogado: era infatti sufficiente il possesso della semplice laurea (“licenciatura en derecho”) per potersi iscrivere presso un ordine spagnolo, per cui - secondo il D.Lgs. n. 96 del 2 Febbraio 2001 attraverso cui l’Italia si impegna a riconoscere l’esercizio dell’avvocatura a tutti i cittadini di uno Stato UE in possesso del medesimo titolo professionale - gli italiani che volevano conseguire il titolo di avvocato in Spagna avviavano direttamente il procedimento di omologazione del titolo, sostenendo una semplice prueba de aptitud consistente in un test a risposta multipla. Le cose sono invece solo un po’ cambiate dopo il 31 ottobre allorché, per essere iscritti al Collegio degli Abogados, dopo l’omologazione del titolo non basta più la sola prova attitudinale ma è necessario conseguire un master in Abogacia e superare una Prueba de aptitud in lingua spagnola composta da 10 materie (10 quesiti a risposta multipla per ogni materia da svolgere in 20 minuti con un margine di errore di 4 quesiti a materia).
In ogni caso, questo continuo andirivieni dall’Italia alla Spagna è cresciuto con gli anni fino a diventare un vero e proprio fenomeno di “turismo” organizzato, fomentando notevoli proteste provenienti dagli ordini professionali e attirando anche continue attenzioni e polemiche dalla gran parte dei mass media italiani. Sono partite persino indagini da parte del giudice istruttore del tribunale di Madrid in quanto, nel maggio del 2016, circa 500 aspiranti avvocati italiani, in ben 8 pullman, pare si siano recati tutti insieme presso l’Università Rey Juan Carlos di Madrid per svolgere presumibilmente la prova di abilitazione spagnola.
Un noto quotidiano italiano ha addirittura titolato: “Un esercito di furbetti a caccia del titolo di avvocato. La truffa della laurea spagnola e il business conviene alle agenzie”. Certamente un titolo duro, dirompente, fortemente critico con una pratica che è divenuta assai frequente nel corso degli anni, proprio mentre la stessa professione ha subìto evidentemente gli ingenti danni per mano della crisi economica e ha visto il generarsi e l’acuirsi di una concorrenza assai spietata tra avvocati e avvocati, dove il pesce grosso mangia il pesce più piccolo.
Tuttavia, sembra essere un titolo anche assai ingeneroso. Forse anche irrispettoso e poco delicato verso chi, con coraggio e stanco di vedersi mortificati i meriti in patria - dopo cinque anni di studi universitari e un minimo di 18 mesi di (possiamo parlare anche di mal retribuita?) pratica forense - ha deciso di sfruttare una possibilità, un varco che si è aperto oltre il recinto dei propri confini nazionali e cominciare finalmente a solcare il terreno europeo, respirando una nuova ventata d’aria di liberalizzazione delle professioni.
Quasi sicuramente, l’esame per diventare avvocato è “tristemente” noto in Italia per essere tosto e articolato, fino a diventare un Leviatano. Una bestia nera deprimente per molti giovani italiani laureati in Giurisprudenza, molti dei quali - scoraggiati dall’esito e stanchi di provarlo e riprovarlo più volte - sono talvolta indotti ad abbandonare la forza di un sogno per il quale hanno combattuto durante il proprio percorso universitario e tentare altre vie. Se la critica (o anzi il luogo comune) è che svolgere altrove un esame più semplice urti il merito e l’onore di chi quello step l’ha già magistralmente superato, non bisogna dimenticare però che nell’esercizio della libera professione il merito va anche costantemente alimentato, imparando l’arte del diritto sul campo magari tenendosi continuamente aggiornati, esercitando e sviluppando una migliore arte oratoria, settorializzandosi e approfondendo discipline più di nicchia, o anche solo cooperando con altri colleghi al fine di procacciarsi nuova clientela e crescendo con l’esperienza. In fondo è anche questo il mercato… vamos adelante.



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