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Il "colpo di coda" del cibo di qualità

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

22
SET
2019

Investire nell’alimentazione è per le famiglie italiane una spesa marginale, solo una nicchia sceglie con attenzione cibi di cui conosce la tracciabilità. L’attenzione alla qualità dei prodotti alimentari e di conseguenza alla nostra salute, è secondaria nelle priorità verso cui si è più disposti a spendere. La cultura del cibo, seppur nelle nostre tradizioni, è stata sostituita dalla cultura del consumo e mentre quello responsabile (costo ecologico e sociale dei prodotti che acquistiamo) trova sempre più spazio nelle nostre scelte di acquisto, un fenomeno poco studiato è invece quello della conoscenza della qualità, aldilà della certificazione biologica. E’ sempre più difficile acquisire consapevolezza nell’esaminare il livello qualitativo dei prodotti alimentari. L’assenza di conoscenza/informazione non solo dell’origine dei prodotti, ma anche del loro processo produttivo, ha condotto ad alimentarsi senza conoscere/conoscersi, a fidelizzarsi a sapori oramai omologati figli di un’offerta orientata quasi esclusivamente a produzioni agroindustriali. Eppure l’Italia, più di altri Paesi del mondo, ha sviluppato una forma di cultura agronomica che pochi possono vantare. Il nostro saper sentire la terra, saper valutare l’ambiente di coltivazione, capire le tradizioni su cui l’agricoltura si fonda, ci porta a definire una nostra visione agricola che potrebbe diventare una guida per tracciare linee di sviluppo verso una nuova agricoltura. I cambiamenti sociali del nostro Paese hanno portato ad un radicale distacco dalle tradizioni contadine e dal valore del cibo. Quello di qualità non può essere distribuito nei grandi supermercati: risponde a logiche, passioni, etiche diverse. Nella grande distribuzione prevale il mero profitto mascherato da filiera super controllata/garantita. Eppure un sistema applicabile per garantire cultura e qualità del cibo esiste, lontano dalle logiche commerciali del CETA e dalla politica degli OGM. Un modello alternativo lontano da criteri produttivistici garantirebbe un’economia solidale, costruita a livello locale, nelle piccole economie circolari, dove i garanti della distribuzione potrebbero essere gli stessi grandi market capaci di acquisire merci non provenienti dal settore agroindustriale, bensì dalla piccola e media impresa, da terre che producono economie in contesti di periferia spesso abbandonati, poco valorizzati, ma che custodiscono ancora saperi e sapori genuini ed eticamente responsabili. Esperienze testimoniano che la costruzione del nuovo nasce dal garantire stabilità a imprese agricole locali ed a progetti imprenditoriali esempio di sviluppo sociale. La terra dovrà nuovamente rappresentare un punto di partenza o ripartenza per lo sviluppo socio economico, locale e globale, mettendo in atto nuove logiche, modelli alternativi che possono costruire opportunità di crescita. Un’inversione di rotta concreta che sappia guardare al nuovo con coraggio, denunciando le colture industriali ed aprendo la strada per una reale sostenibilità alimentare, ambientale, animale.



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