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Ad armi pari non è un insulto

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

23
SET
2019

Matteo Renzi lancia il suo partito e punta sulla diarchia tra un uomo ed una donna per ogni carica dirigente. E’ un fatto di per sé innovativo, ed ovviamente, nell’impero del benaltrismo, moltissimi storceranno il naso. Tra questi non mancheranno sicuramente le donne, da sempre divise sull’utilità di quote rosa, ovvero di meccanismi capaci di dare alle nostre sorelle, amiche e compagne, le stesse opportunità di noi maschi. In Italia infatti la cultura democratica, quella che pretenderebbe le stesse opportunità per chiunque, è da sempre una grande assente, mentre la legge della giungla spopola, con il contraltare di un assistenzialismo acritico, che ha come effetto quello di amplificare le spinte violente e prevaricatrici, rafforzando l’idea di giungla del più forte. 

La diarchia tra uomo e donna invece è un provvedimento quanto mai necessario, così come lo sarebbero tutti quei correttivi capaci di agire sulle asimmetrie di potere, che truccano le gare del merito ed impediscono di dare senso vero e compiuto alla parola “democrazia”. Le donne italiane sono infatti in una condizione di minorità, che non dipende affatto da un loro minor valore. Non sono meno capaci quando si applicano nello studio, né dimostrano risultati peggiori quando guidano progetti di ogni tipo. Semplicemente, molto più brutalmente, le donne devono affrontare le sfide della professione, della politica e della vita, con un fardello che agli uomini è risparmiato. Questo e solo questo porta a tutti gli squilibri che generano una ingiusta limitazione dello sviluppo femminile: minori stipendi, meno incarichi apicali nella struttura della società, minore considerazione in generale.

Una diarchia obbligatoria nei partiti politici obbligherebbe l’intero sistema ad inserire donne e punti di vista femminili, in qualsiasi contesto. E’ una misura non solo auspicabile, ma doverosa, in un contesto che voglia costruire democrazia effettiva e dovrebbe estendersi ai giovani, altra categoria marginalizzata da un non meglio identificato e diffuso complesso di “schizzinosità” e “bamboccionità” che i vecchi gli attribuiscono, davvero senza alcun motivo.

La democrazia, la piena inclusione dei cittadini, il rafforzamento dei loro legami intersoggettivi, passano da una sostanziale, piena ed effettiva possibilità per tutti. Tutti coloro che si impegnano, che si dimostrano meritevoli, devono poter accedere ad incarichi e ruoli di responsabilità e di guida. Quando le condizioni di accesso e di crescita sono pesantemente svantaggiate, non si può partire dall’analisi degli squilibri finali per trarne l’inaccettabile teorema che chi ce l’ha fatta è migliore degli altri. Questo assunto è vero solo se a tutti vengono fornite le stesse armi per competere. Ben vengano dunque le diarchie tra uomini e donne in tutti i ruoli di rilevanza pubblica, e ben vengano le immissioni obbligatorie di giovani negli stessi ruoli. Diamo a tutti una possibilità e sicuramente muteranno drasticamente anche le valutazioni sui meriti, veri e presunti, di tanti individui di successo.  



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