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Sanremo 2020 / Mutazioni di costume e critiche altomedievali

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

10
FEB
2020

Datare esattamente la nascita della musica è improbabile, anche se, tramite il ritrovamento di alcuni reperti, s’ipotizza che risalga a circa 55000 anni fa in Africa, continente dal quale si sarebbe diffusa a seguito delle migrazioni. Per avere, però, riferimenti alla musica e al canto molto più simili a quelli attuali, è necessario affrontare un lungo salto temporale, fino all’anno 1000, quando la musica divenne polifonica e riproducibile da scritture. La diffusione, fino allora esclusivo retaggio ecclesiastico, si deve alla nascita della musica popolare, dei trovatori e dei menestrelli. La musica e il canto raggiunsero il popolo fuori dai luoghi sacri, dove furono arricchiti dall’impiego di nuovi strumenti, per poi diffondersi fra le corti europee. L’impiego della stampa nel 1500, diede un notevole contributo alla diffusione che, sino a quel momento era tramandata a memoria o con l’uso di elementari spartiti scritti a mano. La musica sacra, quindi, la cui massima espressione iniziò partire dal 700 con il Canto Gregoriano, divenne fenomeno popolare, mutando, anche finalità, modo d’espressione e divenendo pubblico spettacolo. La musica sacra, da quel momento, divenne la branca di un’arte ben più ampia e complessa. Da allora la musica e il canto sono divenuti componenti sociali alla pari degli scritti e, quindi, frequentemente presenti come espressione influenzata da costumi ed eventi ma, anche, condizionamenti, confluiti perfino nella censura. In Italia, la maggiore manifestazione popolare di musica e canto è il Festival di Sanremo che, in forma di gara canora, quest’anno ha raggiunto la settantesima edizione. Sette decenni sono un’inezia raffrontati ai millenni in cui la musica si è sviluppata, ma appaiono tanti se raffrontati alla storia del Paese. Nel 1951, anno in cui nacque il Festival della Canzone, le canzoni proposte erano incentrate su contenuti pregni di messaggi popolari dedicati a “Dio, Patria e Famiglia” ma non avendo conseguito molto successo, mutarono presto verso sentimenti melensi e sdolcinati, per cambiare radicalmente negli anni ’60 con l’intervento degli “urlatori” e i “cantautori”.

Ciò che ha accomunato i festival in questi decenni, specie dopo l’avvento della televisione, sono gli schieramenti popolari che, da fenomeno goliardico, raggiungere scontri d’opinione fra fazioni tifose dei diversi concorrenti. Fino al limite del rispettivo gradimento, il confronto è un’espressione gradevole che offre, inoltre, l’immagine del pensiero popolare in tema di usi e costumi. Quello che diviene sgradevole, come in ogni occasione, sono gli eccessi rappresentati dalle interferenze politiche anche in ambiti come quello musicale, dal quale dovrebbero essere assolutamente estranee, quindi, pressioni governative e antigovernative e, con esse, tutto il seguito di sostenitori e operatori della comunicazione di parte. Come se non fossero già inutili e superflui, ai critici di professione e improvvisati si aggiungono quelli onnipresenti, specie sui social, che abbondantemente oltre le proprie competenze si esprimono con la stessa saccenza, in tema artistico, come in quello politico, ingegneristico, scolastico, sanitario, scientifico e ogni argomento scibile. Per il diritto di libera espressione, questo è assolutamente lecito e tranquillamente tollerabile, almeno sino a quando non diviene un metodo per trasformare i pareri in attacchi offensivi e discriminanti.

Partendo dal presupposto che musica e canto appartengono alle Arti e, quindi, sono libere espressioni dell’estro evolutosi in spettacolo, è lecito esternare il proprio consenso o dissenso e anche motivarlo, ma non l’accanimento finalizzato alla distruzione di manifestazioni finalizzate alla positività. Inoltre, chi estremizza la propria espressione, appartiene alle categorie sociali povere di argomenti che tentano di emergere adoperando l’odio come strumento per dare sfogo alle proprie frustrazioni. Quelli che avrebbero voluto ma non hanno fatto. C’è, invece, chi si accanisce scientemente contro gli artisti fuori dai propri schemi, per assecondare un preciso progetto politico che richiede il massimo coinvolgimento di sostenitori condizionabili. Nell’uno e nell’altro caso, emerge che i latrati contro le vittime di turno, artisti o ospiti del Festival di Sanremo, provengono sempre da chi, al massimo, sa suonare il citofono.

 



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