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Le aziende farmaceutiche non investono nella produzione di vaccini anti Covid-19

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

20
OTT
2020

La Commissione Europea ha avviato una consultazione pubblica per scrivere una nuova Pharmaceutical Strategy for Europe, dato che nei prossimi mesi si profila l’esplosione della seconda ondata di epidemia che sta già colpendo Francia e Spagna. Nel verbale si legge che non sempre gli sforzi di innovazione e investimento delle industrie farmaceutiche sono allineati alle esigenze di salute pubblica. Le imprese del farmaco hanno scelto di mettere in secondo piano la ricerca e la sperimentazione su vaccini e antibiotici perché meno redditizi. È ovvia l’impreparazione delle stesse di fronte all’epidemia di Covid-19.

L’obiettivo della Commissione è modificare l’intero sistema dal modello di ricerca e sviluppo, delle autorizzazioni di ingresso nel mercato fino all’accesso ai farmaci, evitando anche di trovarsi impreparati in una futura pandemia come il Covid-19. Saranno valutate circa 242 proposte di modifica del sistema ed entro fine anno la Commissione pubblicherà le linee guida.

Si inizia dall’analisi del sistema di validazione e ingresso dei medicinali nel mercato europeo. Attualmente ad occuparsi della validazione e approvazione di nuovi farmaci è l’Agenzia Europea del Farmaco (Ema), ente certificatore che vive attraverso i soldi sborsati dalle aziende, un aiuto notevole dalle stesse che fanno leva per fare in modo che il proprio farmaco venga approvato e immesso nel mercato europeo.

L’approvazione prevede la presentazione da parte delle aziende di due studi clinici che servono a valutare il potenziale del nuovo farmaco sulle persone e confrontarlo con i trattamenti esistenti. Sono sempre le imprese farmaceutiche a sostenere i costi del trial scientifico e a scegliere come realizzarli.

Il secondo passaggio spetta ai sistemi sanitari nazionali perché ciascuno Stato contratta i prezzi di vendita. Per l’Italia se ne occupa l’Aifa, l’agenzia del farmaco. Le case farmaceutiche impongono riservatezza sul costo di vendita dei farmaci per ottenere sconti accordati con i singoli governi. È una pratica che serve ad asfaltare la concorrenza sui prezzi di vendita applicati nel resto d’Europa, e si usa per i farmaci più costosi, quelli ospedalieri. Questo accade perché per mettere in commercio un farmaco occorrono dodici anni, molti altri per la ricerca e per il brevetto occorre andare oltre i 20 anni. Rientrano in questo sistema i farmaci più vendibili, strettamente necessari per le patologie croniche come diabete, ipertensione, colesterolo e tumori. Si tralascia la ricerca e la produzione di farmaci per malattie infettive in quanto non prioritari. Lo scorso anno si sono avviate numerose ricerche per farmaci tumorali e un numero ridotto di studi di base per i farmaci sui coronavirus. Se ci fosse stato un vaccino per la Sars- Cov 1 sarebbe stato più semplice proseguire la ricerca per il Covid 19, avendo i due virus un genoma simile. La sperimentazione sui vaccini è notevolmente costosa, difficilmente le case farmaceutiche investono nella produzione di vaccini per le malattie infettive, perché finita l’emergenza dell’epidemia non persistono situazioni croniche da garantire la vendita dei vaccini o dei farmaci specifici.

Quando le aziende farmaceutiche dichiarano l’immediata produzione di un vaccino, in realtà dirottano la propria quotazione in Borsa e questo garantisce l’esclusività sulla vendita di un eventuale farmaco futuro, eliminando il limite di prezzo.

In Europa le case farmaceutiche tentano di mantenere segreti i prezzi e i contratti dei negoziati sul Covid-19 per trarne vantaggio dai singoli Stati europei.

È da sottolineare che parte del costo di realizzazione di un farmaco come la ricerca di base delle università è a carico dei cittadini. Alle multinazionali vengono messe a disposizioni attraverso cartelle cliniche e trial, dati e informazioni della collettività.

La ricerca è costosa ed è molto ambita da imprese private, brevettano formule chimiche e impongono un monopolio sulle ricerche sovvenzionate pubblicamente. I cittadini contribuenti finanziano la ricerca farmaceutica nelle università e nei poli scientifici pubblici, mettono a disposizione i propri dati sanitari per la ricerca applicata nei trial clinici, pagando anche il costo finale dei farmaci.

La Commissione Europea tenta di ostacolare le lobby farmaceutiche per rendere accessibili farmaci e vaccini a tutti i cittadini, l’idea è quella di creare un’infrastruttura pubblica europea che si sostituisca alle imprese farmaceutiche in alcune aree di ricerca per controllare il ciclo del farmaco, dalla ricerca allo sviluppo, dalla sperimentazione alla produzione e distribuzione a prezzi che coprano solo i costi marginali. Si ridurrebbero i tempi della ricerca e la condivisione dei dati sensibili della popolazione.



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