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Basilica di San Martino/ Dove sono quei lampadari? (e non solo quelli)

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

31
MAG
2013
Le vecchie foto che raffigurano l’interno della chiesa rivelano la mancanza di diversi oggetti artistici, elementi di arredo e architettonici. Noi abbiamo chiesto di sapere che fine avessero fatto e pronta è arrivata la risposta di Don Franco Semeraro, rettore della Basilica
 
La chiesa di San Martino di trasformazioni storiche ne ha subite parecchie (quella che vediamo oggi è la terza e risale al 1763) ma per limitarci agli interventi recenti, i più rilevanti risalgono al 1957, al 1993 e al 2008. 
Da un’antica foto in bianco e nero del 1920 (Fototeca Clementino) appare in primo piano una cancellata in ferro battuto che chiudeva l’altare maggiore e il presbiterio; quest’opera, feriata,   commissionata al mastro Donato Bianco di Putignano nel 1775, e costò 1.161 ducati, 47 grana e 6 cavalli raccolti con le elemosine e in particolare con un generoso contributo del benefattore Domenico Maria Desiati  .
Della feriata non vi è più traccia a partire dalle foto successive,  presumibilmente venne rimossa nel 1957, anno in cui il parroco del tempo, Giovanni Caroli, commissionò il rifacimento dell’altare maggiore e della pavimentazione in marmi della navata centrale.
Un altro oggetto di altrettanto pregio che non si trova più nella sua posizione originaria è una coppia di cherubini, quasi certamente in marmo, che spuntavano leggiadri, in alto a destra dell’altare principale, all’incirca all’altezza dell’organo.
Si può dedurre dalla foto che il gruppo di angeli alati misurasse almeno due metri di larghezza e uno di altezza, e sembra simile ad altre coppie scultoree con lo stesso soggetto presenti nelle cappelle laterali.
Gli ultimi e più impegnativi restauri della Chiesa sono avvenuti invece dietro iniziativa dell’attuale parroco Franco Semeraro alla metà degli anni Novanta del secolo scorso, e nel 2008 con gli scavi archeologici nella pavimentazione della chiesa, sovvenzionati con fondi pubblici e anche grazie ad una raccolta tra la “gens martiniana”.
Al termine dei lavori del 1993/94 l’impianto di illuminazione della chiesa è stato totalmente rinnovato e sostituto con un sistema moderno a faretti incassati al pavimento.
Diverse foto mostrano l’eliminazione dopo l’intervento di tre o forse quattro lampadari su sei iniziali, di grandi dimensioni che pendevano dal soffitto, apparentemente in vetro del tipo a stampo con motivi floreali a due palchi e con circa 16 bracci l’uno. Non si ha certezza dell’epoca di fattura di questi lampadari, se cioè risalgono agli anni ’50 del secolo scorso o ancor prima.
Due (o tre) lampadari della navata centrale sono stati rimossi, mentre ne sono rimasti due nei bracci laterali.
Ancora più evidente la sparizione dell’altro lampadario che era nel Cappellone; esiste una foto in un libro di Giuseppe Grassi del 1929 che lo raffigura certamente come più antico e già esistente a quella data, ma la foto appare anche in questo caso poco leggibile. 
Sempre di recente sono state rimosse le due cornici lignee con vetro, probabilmente rivestite in oro zecchino, che custodivano le statue di Cristo alla Colonna (1630) e di santa Comasia (1646 ) per le quali pure le ultime foto in cui ancora si vedono risalgono al 1992.   Nell’altare di santa Comasia le due statue in marmo ai lati, sono state restaurate eliminando dalle cornucopie che reggono in braccio il rivestimento di brattee annerite, forse argento, che fungevano da porta lampada,  visibili fino al 1992.  
C’è da chiedersi ora: dove sono tutti questi oggetti di indubbio valore storico e artistico ?
Sono andati distrutti o dispersi ?
Giacciono in qualche scantinato polveroso?
Li rivedremo nell’annunciato Museo di San Martino a Palazzo Stabile? A proposito: gli intonaci colorati a calce di Palazzo Stabile, dove sono? 
I musei servono a questo? a conservare /esporre oggetti strappati dalla loro collocazione originaria? Ha senso mettere quei quattro lampadari in una teca o appenderli al soffitto in un luogo diverso?   Non sarebbe stato più corretto lasciare quel che c’era al proprio posto? 
Un lampadario di quasi cento anni o una cornice in oro, si possono considerare una superfetazione moderna da rimuovere nel corso di un restauro? 
Perché allora spostarli in un museo? 
 


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