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Fulvio Paglialunga/ Con la testa nel pallone

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

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LUG
2013
Ha giocato a basket, ma ha capito presto di non esserne tagliato. Ama il calcio, ma non chiedetegli di correre in campo. Il giornalista tarantino, autore di “Ogni benedetta domenica” ci racconta ribalta e retroscena del gioco più amato d’Italia.
 
Donne d’Italia, riunitevi. Questo articolo è per voi. Per voi che almeno una volta a settimana vedete il vostro uomo mostrare strani sintomi di una malattia diffusissima. E vi allarmate, perché rimedio non ce n’è.
Eccolo lì, lui, seduto sul divano: le gambe divaricate e i gomiti appoggiati sulle ginocchia; la schiena inarcata in avanti; il collo lungo che cerca di assecondare una testa che sembra aver quasi voglia di staccarsi dal corpo; le mani in preda a un tremolio inarrestabile; sudore copioso, viso infuocato e occhi fissi davanti a sé. Altre avvisaglie: sordità selettiva – sente solo ciò che vuole e le parole che escono dalla vostra bocca non giungono neanche lontanamente a destinazione; sussulti improvvisi; esclamazioni indecifrate, presumibilmente di natura neandertaliana. 
Sì, signore. Non c’è scampo né dubbio alcuno: il vostro partner è affetto da partitite calcistica acuta. Combatterla è impossibile, ma non disperate. Non è perso per sempre. Nella peggiore delle ipotesi dovete dimenticarvi di avere la sua attenzione per quei novanta minuti. E se proprio non ce la fate, unitevi a lui. Assecondate la sua passione per il calcio. Potreste scoprire di esserne affascinate quanto e più di lui. Un assaggio di cosa accade nel calcio e intorno a esso ve lo dà Fulvio Paglialunga, noto giornalista sportivo, autore del libro “Ogni benedetta domenica”, in cui racconta passioni, reazioni e follie dei personaggi che ruotano attorno allo stadio.
 
“Ogni benedetta domenica”, il tuo nuovo libro, è dedicato allo sport più amato d’Italia. Da cosa nasce l’idea?
«Anzitutto dalla trasmissione radiofonica che conduco ormai da anni su Rai Web Radio 8. Da tempo mi occupo di questo sport, racconto il calcio settimana dopo settimana. Ma in maniera diversa rispetto alle radiocronache a cui si è solitamente abituati. Cerco di raccontarlo in ogni sfaccettatura, parlando soprattutto del bello del gioco e di tutto ciò che ruota attorno a esso.»
 
Dunque non solo calcio?
«Affatto. Il calcio non è che il collante, il filo che lega tutte le storie che racconto nel libro: storie di follie (in senso buono, naturalmente), di gesti di amore cieco, episodi curiosi, personaggi particolari. In “Ogni benedetta domenica” parlo del valore sociale che questo sport ha assunto nel nostro Paese, della sua capacità di appassionare i tifosi, di farli esaltare di fronte a un goal e arrabbiare in presenza di un cartellino giallo. Il calcio scatena le emozioni di chi lo guarda in misura molto maggiore rispetto agli altri sport.»
 
Ecco, ti sei mai chiesto il perché? Perché il calcio, piuttosto che il basket o qualsiasi altro sport?
«Hai nominato proprio il basket! Sai che ho cominciato proprio con quello? Come atleta, giocatore, si intende. Ma non faceva per me. Ho capito ben presto che non ero portato per essere in campo e dunque ho puntato sul giornalismo sportivo: guardare le partite da un punto di vista diverso, da una nuova angolazione. Tornando alla domanda, ritengo che il calcio abbia un coinvolgimento popolare maggiore perché è ciò che più ci rappresenta. È  uno specchio della nostra società. Laddove ci sono grandi numeri, si è sempre in presenza di un grande fenomeno di massa e un motivo ci sarà senz’altro. Il calcio appassiona, intriga, coinvolge. Diviene una splendida ossessione.»
 
Un’ossessione che fa mettere tutto il resto in secondo piano. Già Rita Pavone, qualche decennio fa, se ne lamentava cantando “perché, perché la domenica mi lasci sempre sola per andare a vedere la partita di pallone”. Allora, perché? Cerchiamo di dare una risposta a lei e a tutte le mogli e le fidanzate d’Italia che a ogni partita vedono le attenzioni dei propri uomini concentrarsi altrove.
«Beh, dai. Quando c’è la partita è d’obbligo mettere in secondo piano tutto il resto. Non ce n’è per nessuno. Quei novanta minuti di gioco rappresentano un rito, un momento in cui ognuno smette di essere ciò che è in tutti gli altri giorni della settimana – un avvocato, un medico, un impiegato, un operaio – e diventa esclusivamente un tifoso. In quel breve lasso di tempo si estrania dal mondo e diventa ostaggio del calcio. Ma sbagli a pensare che le donne siano estranee a questo fenomeno. Nel mio libro racconto come il pallone abbia contagiato anche l’universo femminile, che non si sottrae al rito della partita. Nessuno ne è immune. Un episodio coinvolge persino una suora.»
 
Come hai detto, nel tuo libro racconti il bello del calcio. Ma a fronte di questo, si assiste anche a diversi episodi di natura tutt’altro che piacevole. Mi riferisco soprattutto alla violenza negli stadi. Quando il tifoso diventa aggressivo, si può ancora parlare di valore sociale?
«Attenzione: qui c’è bisogno di un chiarimento. Il calcio, come ho già avuto modo di accennare, esprime ciò che la società è. Non esiste la violenza negli stadi: esiste la violenza! Punto. E può esserci in uno stadio, in un supermercato, per strada, in casa, ovunque. L’uomo aggressivo, capace di sfogare la sua rabbia su un altro essere umano, lo è a prescindere dal calcio. Di sicuro non si reagisce in quel modo per un goal subìto. C’è una natura intrinseca che lo fa sfogare così. L’uomo, o il gruppo di uomini, che crea una rissa all’interno dello stadio durante una partita, molto probabilmente lo fa anche in qualsiasi altro ambito. Il calcio, o meglio lo stadio, è solo un amplificatore, perché tutti gli occhi in quel momento sono puntati lì. Ma non è il calcio a suscitare la violenza. Mai. Il vero tifoso si gode la partita, ridendo e esultando oppure lamentandosi per un passaggio non andato a buon fine. Ma nulla di più.»
 
Il Taranto calcio negli ultimi tempi è stato protagonista di un altalenante gioco di speranze e delusioni. Poteva fare un salto in avanti e invece… la storia è andata diversamente. Da tarantino e da tifoso, come vivi la situazione della squadra ionica?
«Essendo in questo settore da molto tempo, seguo tutto con grande attenzione. Sono costretto a ribadire che tutto ciò che avviene in campo non è diverso da ciò che accade in società. Devo ammettere che c’erano tutti i presupposti per far andare male le cose. Mi aspettavo un risultato del genere. Quando la città non ha solide basi, ecco che la cosa si ripercuote anche sul calcio. Ho sempre riscontrato una forte comparazione tra i due ambiti. Sono due storie che viaggiano in parallelo. Ognuna esprime ciò che l’altra vive. Di questo ne sono assolutamente certo.»
 
Hai detto di aver giocato a basket, ami il calcio, sei giornalista e ora anche scrittore. Ma se da piccolo qualcuno ti chiedeva cosa sognavi di diventare, qual era la tua risposta?
«Mah, probabilmente come tutti i bambini avevo un numero spropositato di sogni e di desideri. Di sicuro, però, ho realizzato ben presto di voler far parte del mondo dello sport e dopo aver appurato che l’atletismo non era il mio punto forte, ho puntato sul giornalismo sportivo. Insomma, essere all’interno di questo grande universo, ma osservarlo da critico e da spettatore.»
 
Non ti ho ancora fatto una domanda fondamentale: stiamo parlando di calcio dall’inizio di questa intervista, ma non ti ho chiesto di quale squadra sei tifoso.
«Ti sorprenderò: non sono tifoso! (ride, ndr). Mi spiego meglio: sono un grande tifoso e amante del calcio, ma per poterlo essere appieno non devo avere preferenze. Certo, affettivamente sono legato al Taranto perché è la squadra della mia città e soprattutto è la prima partita che ho visto allo stadio. Quindi vi è un valore sentimentale. Per il resto, le scelte erano due: avrei potuto essere uno juventino come mio padre, oppure per reazione contraria divenire un fervido tifoso della squadra opposta e dare luogo a una guerra calcistica in famiglia. Non ho scelto nessuna delle due. Parteggiare per una squadra mi annoiava, non mi faceva godere il gioco. Così invece ho modo di apprezzare ogni azione, di guardare tutto senza pregiudizi, né condizionamenti. E per il lavoro che faccio è fondamentale poter osservare la partita senza schierarsi da una parte o dall’altra.»
 
Al momento sei impegnato con la trasmissione?
«No, per il momento con RadioRai sono in pausa poiché è terminata la stagione. Ma il palinsesto riprenderà a breve e sarà piuttosto pieno, ho molti progetti dinamici.»
 
Dunque per ora ti godi un po’ di vacanza?
«Macché! Sono impegnatissimo con le varie presentazioni di “Ogni benedetta domenica”, e poi conferenze stampa, interviste e tutto il resto. Temo che le mie ferie dovranno attendere ancora un po’.»
 


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