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Integrazione/Sono uomini o clandestini

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

18
OTT
2013
Dalle voci di paese alle opinioni su Facebook. La paura dell’immigrato cambia modalità di espressione ma rimane, dura a morire
 
 
Nonostante i fatti di Lampedusa siano un dramma e un’emergenza umanitaria, persino su Facebook nell’opinione di molta gente si è cinicamente spesso utilizzato il termine “clandestini”, proprio a voler fare della bassa macelleria politica. Si dimentica che stiamo parlando di esseri umani che perdono la vita: tra il   1988 e il 2008, circa 12.012 tra uomini, donne e bambini sono morti tentando di raggiungere l'Europa clandestinamente, non potendo viaggiare in “modo regolare” (quanto è inelegante questo termine!). 
L’Italia ha cercato poi grossolanamente di eliminare l'immigrazione alla fonte, con degli accordi con i Paesi di origine e in specie con la Libia dove a spese dello Stato italiano molti immigrati sono stati rimpatriati per poi essere portati nei loro Paesi di origine, spesso dell'Africa subsahariana o centrale. Una politica dei “respingimenti” del tutto controproducente che non tiene conto di alcuni assunti fondamentali dei movimenti migratori: basterebbe andare a ritroso nel tempo ed esaminare i tratti caratteristici dell’immigrazione: la prima ondata negli anni ’80 di gente proveniente dal Maghreb, perfettamente integrata in Italia e all’estero, quindi per nulla invisa a fenomeni di illegalità. Si pensi al territorio vicentino, brianzolo e il bresciano, dove gli immigrati dal Maghreb sono anche parte fondamentale della forza lavoro andando poi a costituire “il braccio operativo” di quella che era la grande economia italiana del Nord – Est. Eppoi ci fu l’ondata albanese. Una comunità fortemente integrata. E molte città pugliesi ne sono esempio concreto. In sostanza: analizzare accuratamente, in chiave sociologica, i fenomeni migratori può essere utile per dimostrare la sudditanza psicologica e culturale nei confronti dell’occidente “terra del lavoro e dei diritti”. E, nell’atto pratico, comprendere il perché l’Occidente ora stia pagando lo scotto per aver trattato, dal dopoguerra in poi, il cosiddetto “terzo mondo” (e non solo quello) come fosse nel contempo sia una risorsa che una specie di “pattumiera”. Prevale, però, nell’immaginario collettivo, la paura per lo “straniero”: colui o colei che ci frega il lavoro e, in alcuni casi (che con l’Africa in generale non hanno nulla a che vedere), addirittura i “mariti”, oppure colei che “circonvenziona anziani”- quando si parla di “rumene” la tiritera che si ascolta spesso è questa, per criticare un mercato dell’assistenza privata fortemente al ribasso. E la cosa ha connotati decisamente razzisti. Ma siamo davvero il paese dell’accoglienza?
 


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