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Non solo Ilva: Qui chiudono tutti

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

3
AGO
2012

 

Non c’è pace per Taranto, dove anche la crisi del commercio morde. Viaggio tra serrande abbassate, commercianti abbandonati dalle istituzioni e qualcuno che ancora resiste
 
 
“Dove sono Franco, Cosimo, Luigi, Egidio e Giovanni?
Il parrucchiere, il droghiere, l'informatico, il negoziante, il fotoperatore?
Tutti, tutti ora fuggono dalla stradina.
Uno consumato dalla sfortuna,
uno ha bruciato una fortuna,
uno fallito in procura,
uno morto d'usura,
uno è caduto nell’abisso lavorando duro per moglie e figli -
tutti, tutti ora fuggono, fuggono, fuggono dalla stradina...”
No, non è un capitolo inedito dell'Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters, ma una provocazione e insieme una mappa che utilizzeremo per una lettura inedita, o altra, della crisi.
Tutto è cominciato, ma sarebbe meglio dire finito, con la chiusura, l'ennesima, di un negozio sito in via Principe Amedeo, che, per richiamarci alla poesia di apertura, rappresenta un’altra lapide commerciale in questa via che poco o niente ha da invidiare al cimitero della collina di Spoon River.
Chiude i battenti il 24 aprile 2012 il negozio “Calzature da Franco”, non un improvvisato esercente dell'ultima ora, ma un commerciante doc, uno che, con la sua attività, ha operato con passione, determinazione e professionalità per oltre 38 anni, un'eternità se confrontato con gli standard attuali dell'economia una-tantum, a scadenza o, per dirla con il sociologo Zigmunt Bauman, liquida.
Non solo crisi
Considerando solo i cinque isolati che vanno da via Berardi a via Duca degli Abruzzi, sono più di tredici le attività commerciali che hanno chiuso i battenti negli ultimi quattro anni su questa strada.
C'è di tutto, dal negozio di oggettistica etnica a quello di abiti da uomo, da quello di computer a quello di scarpe, dal parrucchiere da donna al negozio di taglie forti, dai complementi d'arredo alla videoteca; resistono, almeno per ora, gli alimentari e gli immancabili e irriducibili negozi cinesi, per niente preoccupati, questi ultimi, dagli effetti devastanti che la crisi ha prodotto o sta producendo nel corpo sociale di questa città.
I cinesi, anzi, sono gli unici che aprono e inaugurano nuovi negozi in questa e in altre vie, quasi a volerci beffardamente ricordare che sono loro la nuova economia emergente, i nuovi ricchi, i padroni del mondo, e che noi siamo un Occidente in crisi e, ancor di più, un'Europa in recessione.
Questa autentica debacle ha svariate cause, non tutte ascrivibili al particolare momento di congiuntura economica che stiamo vivendo a livello mondiale: cause che partono, probabilmente, dal ripensamento urbanistico e di viabilità che ha reso via Principe Amedeo, di fatto, una strada a senso unico, alla mancanza cronica di parcheggi, passando per il dissesto del comune, per giungere alla crisi mondiale del 2008 che, però, è indubbio, ha dato una notevole accelerata al processo ormai in atto.
La testimonianza
Come arginare l'emorragia del settore commerciale di questa importante arteria stradale che, lentamente ma inesorabilmente, sta dissanguando il corpo economico e sociale di Taranto?
Abbiamo girato questa domanda a Giorgio Magurano, membro del consiglio direttivo di Federmoda in seno alla Ascom-Confcommercio, nonché esercente storico di via Principe Amedeo, dove è titolare del negozio di alta moda Piaccione.
«La crisi che stiamo vivendo è una crisi travolgente, a 360 gradi, e riguarda tutti quanti – ci dice senza giri di parole – siamo di fronte a qualcosa che non penso riusciremo a superare se il governo centrale e gli amministratori locali non ci aiuteranno concretamente. Stiamo perdendo posti di lavoro, perché noi commercianti e piccoli imprenditori non ce la facciamo più a sostenere un certo numero di dipendenti, siamo costretti a licenziare, e licenziare per un imprenditore è la cosa più brutta che possa accadere.
[...] Alla base di tutto è il cliente che manca, l'acquirente che spende e che fa girare questa benedetta economia che è ferma al palo. Noi, che facciamo parte di un settore merceologico inserito in un segmento medio-alto, abbiamo ancora uno zoccolo duro di clienti, ma siamo come cattedrali nel deserto, facciamo quotidianamente grossi sacrifici, stiamo, come si dice, raschiando il fondo del barile. Abbiamo investito le nostre risorse personali per poter andare avanti  e assicurare un lavoro ai nostri collaboratori.
Noi commercianti tarantini, poi, stiamo vivendo tre crisi: c'è la crisi globale; c'è la crisi italiana, che grazie ai governi che si sono succeduti ci sta trascinando sempre più nel baratro; e, se questo non bastasse, ci troviamo in una città che ha una crisi tutta sua, poiché ancora soffre a causa del recente dissesto economico.
[...] Noi vorremmo un apporto dalle nostre istituzioni; non chiediamo soldi, intendiamoci, noi chiediamo soluzioni che possano far rivivere questa città, qui a Taranto innanzitutto manca la cultura. La cultura vuol dire tutto, vuol dire soprattutto turismo, abbiamo un Museo Archeologico fra i più importanti d'Europa, che ha aperto in pompa magna, per il quale sono stati spesi tanti quattrini e adesso è tutto fermo. Abbiamo delle infrastrutture naturali che ci consentirebbero di vivere anche di turismo, invece negli anni '60 la politica ha optato per l'industria pesante, facendo insediare un eco-mostro come l'Italsider. [...] Io non dico che  dobbiamo chiudere le grosse aziende del polo industriale tarantino, non possiamo permettercelo, però dico di metterle in sicurezza, facendo rispettare le leggi e le norme vigenti per permettere sia la salvaguardia dei posti di lavoro che una vita più sana ai cittadini. [...] La cultura non si crea in pochi anni, richiede sacrifico e dedizione: noi, da essere stati la culla della civiltà magnogreca, stiamo tornando indietro, in un certo senso c'è stata un'involuzione e purtroppo non si fa nulla per movimentare questa città, che ha un disperato bisogno di turisti, di gente nuova, denaro fresco per far lavorare ristoranti, alberghi, noleggio auto e di conseguenza anche noi commercianti».
Le soluzioni
Fa un po' strano sentir parlare di turismo, ambiente e cultura un commerciante, siamo abituati ad ascoltare queste parole da artisti, scrittori, associazioni, intellettuali, giornalisti, addirittura in bocca ai politici durante le elezioni, ma è significativo che coloro i quali, come i piccoli e grandi esercenti, vivono quotidianamente i problemi della città, abbiano una percezione così chiara della situazione e una visione così cristallina delle possibili soluzioni.
La parola magica è cultura, ci diceva Magurano, ed è in ottima compagnia, se pensiamo che alcuni anni fa il noto economista Jeremy Rifkin (da diversi anni ormai in odore di Nobel), scrisse che: “La cultura è per l'economia la gallina dalle uova d'oro”. Vuoi vedere che la soluzione sta tutta qui, che davvero per risollevare la nostra economia, e noi stessi, dobbiamo solo attingere alla nostra storia, al nostro ambiente, al nostro patrimonio archeologico, ai nostri paesaggi, al genius loci, insomma alla cultura di cui parlavano sia Magurano che Rifkin?
Noi crediamo di sì, anche perché tutte le altre strade sono state percorse e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. 
Per quanto attiene nello specifico a via Principe Amedeo, l'istituzione di una zona franca sembrerebbe una soluzione non attuabile, ma un regime, temporaneo e straordinario, di tassazione ridotta e/o agevolata forse potrebbe esserlo, ora che l'uscita del comune dal dissesto lo consentirebbe. Altra opzione potrebbe essere l'istituzione di isole pedonali settimanali o mensili e la complementare promozione di attività culturali tese a rivitalizzare il tessuto economico di questa via, un po' come si è fatto con “L'isola che Vogliamo” in Città Vecchia. Le proposte, le idee e le intelligenze non mancano, basterebbe solo un tavolo di regia per coordinarle.
Ma badate bene, il tempo stringe, via Principe Amedeo continua a spegnersi ed è solo una delle tante vie un tempo floride che stanno morendo, via Oberdan, via Mazzini e via Dante seguono a ruota.
Ogni attività che chiude è un fallimento non solo individuale, che attiene al singolo commerciante, ma è un fallimento collettivo e riguarda  l'intera società civile, riguarda ognuno di noi; diventiamo tutti un po' più poveri quando un negozio chiude, un’insegna si spegne, una saracinesca si abbassa per l'ultima volta, quindi, parafrasando John Donne, non chiedete per chi suona la campana, essa sta suonando per noi.
 
 


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