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Anna Maria Corrente/VE LO DO IO IL TEMPO

Categoria: ATTUALITA'

21
OTT
2014
Si svolgeranno domani - mercoledì 22 ottobre  alle 16:00 - presso la parrocchia del Carmine, i funerali di Annamaria Corrente, morta nel tardo pomeriggio di ieri a causa di una malattia inesorabile che l'ha strappata ai suoi affetti in poco più di due mesi. La notizia della sua morte ha destato, fin da subito, una grande commozione in tutti quelli che hanno avuto il privilegio di conoscere questa donna forte ma allo stesso tempo sensibile, ricca di gradi doti  professionali e umane. Annamaria Corrente è andata via così come ha sempre vissuto, con grande dignità e discrezione (erano in pochissimi a sapere della sua malattia) preferendo sempre l'agire all'apparire. 
 
Vogliamo ricordarla riproponendovi l'intervista, realizzata da Giuseppe Fasano, che tempo fa rilasciò Extra Magazine.
 
Dalle intercettazioni ai tribunali mediatici, dai tempi lunghi della giustizia al disastro ambientale: il Presidente della Camera Penale di Taranto racconta il suo impegno professionale e civile, senza dimenticare la famiglia
 
Parlare di una donna, in copertina, ponendo sfacciatamente agli occhi dei lettori il riferimento al classico stereotipo della “donna in carriera” sarebbe del tutto riduttivo. Significherebbe cadere nel tranello del luogo comune che mette in relazione il sesso con la professionalità: una sorta di tentativo di dimostrare che anche una donna può essere capace. E tale tentativo paradossalmente, alimenta le diversità tra i sessi. Ma resta comunque il fatto che, simbolicamente, le virtù come il rigore, la professionalità sostenuta da una cultura notevole, il coraggio e l’impegno, sono erroneamente attribuibili al sesso maschile. Tale simbolizzazione invece tradisce la figura dell’ avvocato martinese Anna Maria Corrente, che noi di Extra abbiamo voluto incontrare. E parlando con lei, ci è sembrato che emergessero non solo le sue qualità professionali e le virtù citate poc’anzi ma, soprattutto, quelle più propriamente umane. E’ raro, infatti, trovare personalità della cultura che riescano a metterti a tuo agio, toccando argomenti molto seri. E’ difficile trovare gente che, pur rivestendo un ruolo pubblico di una certa importanza, non abbia con sé il tipico alone di “irraggiungibilità” sia sotto il profilo intellettuale che umano. L’intelligenza sopraffina, in questo caso, si mescola alla simpatia, alla cordialità e, soprattutto, alla semplicità nel far comprendere a tutti argomenti di per loro difficili da trattare. Oltre ad essere tutto questo, l’Avvocato Anna Maria Corrente ora è nuovamente Presidente della Camera Penale di Taranto, per il secondo mandato. Ciò denota il suo impegno trascorso nell’ambito della diffusione della cultura forense, promuovendo iniziative formative necessarie all’esercizio consapevole dell’Avvocatura, in un periodo in cui gli avvocati non godono di buona fama. E in tal senso persino il Presidente nazionale dell’Unione delle Camere Penali  si è riferito a lei come “esempio di correttezza e rigore”, oltre al fatto che non era mai successo che nella storia della Camera Penale tarantina (intitolata all’Avv. Pasquale Caroli) una donna venisse eletta per la seconda volta al ruolo di Presidente col 90 % dei voti e con l’unanimità del Consiglio Direttivo; e questo risultato la condurrà, per i prossimi due anni, ad essere ancora un personaggio di “frontiera” sul versante della cultura giuridica. Noi di Extra avremmo dovuto porle delle domande nelle modalità tipiche delle sedi giornalistiche canoniche, asetticamente predisposte al botta e risposta tra intervistatore e intervistata, invece l’avvocato Anna Maria Corrente, al momento del nostro incontro, chiede di “stemperare” il clima formale traendo dalle nostre domande occasione per dialogare in tutta tranquillità, ma senza esitare nell’affrontare  e “tradurci”argomenti di scottante attualità.
 
Avvocato, innanzitutto Le faccio i complimenti per il risultato ottenuto in Camera Penale per il suo incarico di Presidente. Vorrei cominciare, però, con un argomento attuale che forse travalica i confini della nostra città, ma che è di interesse pubblico, dato che la Camera Penale di Taranto è intervenuta in merito. Parliamo delle intercettazioni telefoniche. Lei è intervenuta al convegno del 23 ottobre scorso organizzato dall’Ordine degli avvocati e dall’Associazione Nazionale Magistrati (le rispettive sezioni di Taranto) su questo tema. Ecco, secondo il suo parere, in riferimento alla cronaca politica di questi giorni, quando è possibile coniugare la necessità delle intercettazioni e le sue  finalità investigative con il diritto alla riservatezza?
“Guardi, in uno Stato di Diritto, dove le regole dovrebbero essere rispettate, spesso queste sono infrante. L’intercettazione dovrebbe essere l’elemento di ricerca della prova, invece a volte diventa propriamente “prova”. Pur essendoci dei limiti già configurati dal Codice di Procedura Penale circa il loro utilizzo solo per gravi indizi di reato, spesso vengono utilizzate ad oltranza. Quel progetto di legge nazionale che cercava di disciplinarle, poi naufragato, poneva però dei limiti piuttosto ristretti agli inquirenti sul versante temporale. Infatti, se gli inquirenti indagano, ad esempio, su un’associazione a delinquere di stampo mafioso, non è possibile predeterminare i tempi e le tecniche di indagine, richiedendo, questo reato, tempi di indagine abbastanza lunghi. Però posso dirle un’altra cosa: in Italia, quei pochi fondi che vengono destinati alla giustizia, il 90% di essi sono utilizzati per le intercettazioni. Invece si potrebbe utilizzare quel danaro per molte altre attività utili sul versante globale della giustizia. Veda, purtroppo oramai la società vive propriamente in un “grande fratello” orwelliano: siamo spiati dappertutto, in banca, al supermercato, dietro le vetrine di un negozio, e persino quando andiamo a far benzina con l’automobile. E credo che ciò rappresenti proprio la degenerazione dell’esigenza di controllo e di sicurezza. Ma l’eccesso di questa esigenza si traduce in un male per il vivere civile”. 
 
Ma è innegabile che l’intercettazione in tantissimi casi si è rivelata decisiva…
“Certo. Non contesto il mezzo in sé, ma le modalità con le quali tale strumento di indagine viene dosato e utilizzato; e ripeto, ci si dovrebbe attenere solo ai reati espressamente previsti dal Codice di Procedura Penale, per i quali è giustificato l’utilizzo dell’intercettazione”.
 
Senta, per quanto riguarda invece i tentativi di riforma della giustizia, spesso invocata come la più impellente delle riforme di cui il nostro paese avrebbe bisogno, in riferimento alla “ragionevole durata del processo”, al “giusto processo europeo”, cosa può dirci?
“Le dico che proprio il 27 abbiamo proclamato, in sede di Camera Penale, insieme alle altre Camere territoriali, un giorno di astensione per protestare contro la sordità della politica in tema di riforma della giustizia. Noi intendiamo una riforma globale: di sistemi, di metodi, di codici. A cominciare dalla famosa separazione delle carriere (magistrati inquirenti e giudicanti) fino al rientro di 250 magistrati …”
 
In che senso, mi scusi?
“Nel senso che vi sono circa 250 magistrati fuori ruolo poiché attualmente addetti ad altre attività presso Ministeri e Consulte. Se costoro fossero messi nelle condizioni di rientrare nel ruolo avremmo una giustizia più celere. Si tenga presente che i magistrati sono appena otto mila, e tali rimangono da decenni, e di questi, come dicevo, 250 sono fuori ruolo. Quanto al processo breve, abbiamo ritenuto non idonea quella legge perché stridente con il concetto di “qualità” della giustizia. Non è importante la quantità della giurisdizione, o dire di aver arrestato dieci o venti mafiosi o altro, ma è fondamentale invece rispettare i tempi che  un’indagine dagli esiti certi richiede. Come si può invece stabilire a priori quanto debba durare un processo? Un conto è, ad esempio, un processo per truffa di un singolo nei confronti di un altro singolo. Ma se si parla di grandi processi per truffa, che coinvolgono decine e decine di imputati, come si può pretendere di risolvere tale processo, esaminando una grande quantità di faldoni, passando dall’udienza preliminare e che poi si deve andare a giudizio, in un tempo circoscritto aprioristicamente? Tale limite, come è ovvio, ci condurrebbe ad una cattiva giurisdizione. Invece ogni processo deve avere la sua “vita”, per poter parlare quindi di una giustizia di qualità. Prima di tutto ci vorrebbe un giudice “terzo”, poi un pubblico ministero che faccia bene le indagini, e che non ci siano connubi di sorta (magistratura inquirente e giudicante), oltre al fatto che la difesa deve avere tutto lo spazio per esercitare bene il proprio mandato. Ci troviamo invece di fronte a: udienze affollatissime, pochi giudici, processi complessi. Alla fine qualcuno ci rimette: o il cittadino o il magistrato, e gli avvocati insieme. Tutti lì in udienza sino alle undici di sera. Poi, un’altra questione: l’abuso dell’ordinanza custodiale. La si considera come un anticipo della pena definitiva. Se invece i processi fossero più celeri, più giusti, più equi, potremmo utilizzare l’ordinanza custodiale con più coscienza. Infine, ci vorrebbero forse più penitenziari che non case circondariali. Per non parlare anche delle misure alternative alla detenzione, poco applicate: ecco il problema del sovraffollamento delle carceri”. 
 
Avvocato, vorrei toccare un altro tasto dolente per l’avvocatura, ne sono convinto. Come si pone la deontologia forense dinanzi alla volontaria sovraesposizione mediatica di alcuni avvocati implicati in faccende di cronaca nera, come nel caso della povera Sara Scazzi?
“Abbiamo stigmatizzato e giudicato negativamente quella esposizione mediatica a cui vuoi far riferimento. Il nostro Consiglio Direttivo ha redatto un documento esortando i colleghi ad evitare tali protagonismi poco consoni alla decoro e alla dignità della professione forense”- (a questo punto l’avvocato tira fuori una circolare della camera penale dove si legge, verosimilmente, che “(…) l’autorevolezza e la credibilità si conquistano faticosamente, esercitando in udienza il proprio ministero con diligenza, onestà, preparazione e passione, non mediante apparizioni televisive, talvolta prive di qualsivoglia ragione che non sia quella di voler a tutti i costi apparire(…) – “ricordando che noi avvocati dobbiamo rispettare il dovere della riservatezza. I processi mediatici sono quanto di peggio possa capitare. I processi vanno fatti nelle aule di giustizia”. 
 
E invece spesso si giustifica tale risalto mediatico con l’improbabile dicitura “tribunale del popolo” riferito ai talk shows, agli opinionisti, a gente che con la realtà processuale non ha assolutamente nulla da spartire …
 
“Infatti! Ed è sbagliato! Possono verificarsi cattive ripercussioni sulla giustizia a seguito dell’eccessiva pubblicità data a certi avvenimenti (non per niente i genitori di Yara, a Brembate, hanno chiesto il silenzio stampa). Invece, quanti giudici popolari di una Corte d’Assise, domani chiamati a pronunciarsi sui Misseri, saranno completamente avulsi e completamente asettici rispetto a quanto detto e visto in tv? Quanti e quali saranno i giudici popolari che, in quella sede, proporranno i loro “ma”, “se”, “però”, influenzati più dai media che non dai fatti processuali? Inficiando la verità processuale, che è l’unico obiettivo che l’avvocato deve perseguire? Spesso si sente dire, da parte di alcuni avvocati che “gli devo far dire la verità”, oppure porsi l’obiettivo di “inseguire la verità”; ma l’avvocato non deve far altro che attenersi alla verità processuale! Se poi è al corrente di fatti favorevoli al proprio assistito (non dimentichiamoci che dobbiamo salvaguardare chi si affida a noi) tanto meglio:  è suo dovere garantire ulteriormente la miglior difesa possibile”. 
In alcuni casi, però, alcuni “processi mediatici” – tiriamoli in causa pur non giustificandoli - hanno avuto il pregio di “erudire” il popolo italiano su alcuni comportamenti di personaggi pubblici, esemplare il caso di Tangentopoli, che ha rivelato il sistema della corruzione dilagante “scoperchiando” un sistema e rendendolo conoscibile a tutti (anche se da allora le cose non sono poi tanto cambiate).
 
“Certo, l’importante, come dicevo prima, è evitare ogni eccesso. Le dico una cosa: ho partecipato all’ultimo Consiglio della Camera Penale a dicembre, prima della mia rielezione, e al quinto punto dell’ordine del giorno si trattava proprio la vicenda di Avetrana. Altresì, uno dei punti del mio primo consiglio da neo-presidente, qualche giorno fa, riguardava ancora la faccenda dei processi mediatici. Avetrana è oramai alla ribalta ed io sono costretta ad intervenire spesso per la salvaguardia della dignità della categoria forense tarantina, perché noi siamo una gran bella categoria, che si aggiorna e che si comporta in maniera educata. Purtroppo ci sono le solite voci fuori dal coro che non ci fanno fare una bella figura a livello nazionale. Io comunque posso garantire, e l’ho detto in sede nazionale dinanzi al Presidente Nazionale dell’Unione Camere Penali, che i penalisti di Taranto sono delle persone serie. Personalmente poi sono sempre stata contraria a questa smania di apparire, cominciando da Cogne sino ad Avetrana; io sono per la politica del “fare” e non dell’apparire. Quando fui eletta per la prima volta come Presidente, per circa un anno non ho mai rilasciato interviste e non sono mai comparsa in tv. A comprova della sobrietà dimostrata, vi è stata quindi la riconferma del mio mandato col 90 per cento dei voti, e con l’unanimità dall’interno del Consiglio Direttivo”. 
Certamente. Mi consenta adesso una domanda che riguarda ancora, in maniera dolente, la città di Taranto: mi ha colpito personalmente una sentenza del Giudice di Pace, presso la sezione penale, che in sostanza assolveva nel 2006 una donna che era stata colta in flagrante mentre mandava un giovane a scrivere, con una bomboletta spray, su un tratto del muro di cinta dello stabilimento Ilva, la scritta “assassino” evidentemente riferita a qualche dirigente. L’avvenimento accadeva proprio il 25 agosto del 2006, quel giorno in cui moriva un giovane operaio dell’Ilva, il povero Gianluca di Leo, travolto da un carro ponte. La donna e il giovane furono denunciati per diffamazione. Il giudice di Pace ha invece ritenuto invece non colpevoli i due per il reato contestato, poiché l’esigenza di esprimere il proprio pensiero, anche in maniera critica, è tutelato dalla costituzione all’art. 21. Ciò che colpisce della sentenza, testualmente, è il riferimento al fatto che “ è comprensibile come la città, o parte, consideri l’offeso, non importa se legittimamente o meno, responsabile del degrado, degli incidenti all’interno dello stabilimento”. Insomma il diritto di critica viene così ricondotto alla notoria condizione di degrado ambientale in cui versa Taranto, colpita  dall’alto numero di tumori, avvelenata dalla diossina, dalle polveri sottili e mortificata dagli incidenti sul lavoro. Per ultimo, qualche giorno fa, un’altra scritta, diversa per contenuti, e molto più violenta, appare su un altro pezzo del muro di cinta dell’Ilva (anche se i due avvenimenti non sono affatto correlati).  Insomma, a Taranto non tira certamente una bell’aria,  in tutti i sensi…
 
“A Taranto vi sono due diritti inconciliabili: quello alla salute e quello al lavoro. Se l’Ilva chiude ci saranno molte famiglie sul lastrico, se invece continua ad esistere, i problemi relativi alla salute potrebbero essere ancora una triste realtà. Anche se molto è stato fatto per ridurre le emissioni nocive e tutelare la salute.  Il guaio comunque fu compiuto nel ’63, quando si decise di costruire lo stabilimento. Si consentì, per via di una politica economica permessa dagli allora amministratori, che Taranto venisse deturpata. Era una città destinata al turismo. Invece l’hanno affossata, e oggi ne paghiamo le conseguenze”. 
 
 Avvocato,  prima di salutarla vorrei porle la classica domanda che si fa solitamente ad una donna in carriera, e la faccio non per riproporre il solito luogo comune sulla  difficoltà del connubio “carriera-famiglia”, specie se riguardante una donna, ma solo per “alleggerire” il nostro incontro di fronte ai temi seri che abbiamo trattato, perciò: i suoi impegni e la famiglia?
“Io ho vissuto con mia madre che, qualche tempo fa, purtroppo, è passata a miglior vita. Ho vissuto con lei fino alla fine, accudendola con grande affetto fino agli ultimi giorni della sua vita. E sono riuscita, con molto sforzo ed entusiasmo per il mio lavoro, a stare con lei, nonostante i miei impegni affrontati, in tal senso, con un enorme spirito di sacrificio”.
 
D’accordo.  La saluto a nome della redazione e le facciamo ancora gli auguri per il suo lavoro, ringraziandola per il tempo concessoci. 
“Grazie a voi”.
 



Commenti:

Rosalba 3/MAR/2015

Ho saputo della morte di Annamaria in modo del tutto casuale e mi è dispiaciuto immensamente: Ho conosciuto Annamaria all'inizio della mia pratica forense agli inizi del 198o.Ho abbandonato l'attività forense successivamente per intrarprendere un'altra carriera ma ho mantenuto i rapporti con Annamaria anche negli anni successivi. Non vedevo Annamaria dall'estate scorsa del 2014 e me ne chiedevo il perchè. Ma il mio lavoro mi portava lontano e speravo sempre di incontrarla quando andavo in Tribunale. Era e sarà sempre un esempio. R.I.P. ANNAMARIA

Mariapia Giulivo 1/NOV/2014

L' ho conosciuta e ammirata. Grandi doti professionali, grinta, forza interiore. Ma anche estrema sensibilità, intuizione, femminilità raffinata e delicatezza. Non la dimenticherò mai...Sentivo sintonia con lei...Ricordo il suo sorriso che arrivava improvviso...e sapeva trasmettere una grande vitalità. Voglio ricordarla così...sorridente...

Marianna Lazzaro 21/OTT/2014

Ho sempre ammirato lo STILE di questa Collega sin da quando, appena praticante, muovevo i primi passi all'interno del Tribunale di Taranto. Benchè già allora l'avvocatura ionica vantasse molti avvocati di sesso femminile, poche erano le Colleghe che si distinguevano realmente per competenza, professionalità, eleganza, sobrietà...ed Annamaria era una di queste. Non ho avuto il piacere e la fortuna di frequentarla al di fuori delle Aule di Giustizia, ma non stento a credere a quei colleghi che la ricordano anche e soprattutto per le sue qualità umane. Quasi tutti ignoravamo in Tribunale il dramma che questa donna-avvocato stava vivendo e devo dire che la riservatezza con la quale l'avv. Corrente ha voluto vivere le sue ultime settimane le conferiscono ancor più valore come persona, ancor prima che come professionista. La sua immagine ed il suo esempio rimarranno, sono certa, incorruttibili nel ricordo di tutti noi AVVOCATI del Foro Ionico. Ciao Annamaria....

Rita Frascolla 21/OTT/2014

La scomparsa repentina di Anna Maria mi lascia un grandissimo dolore,ti ho conosciuto da piccola e poi anche attraverso Pasquale che ti stimava tanto,il mio ultimo ricordo è di pochi mesi fa quando ci siamo incontrate in profumeria e,come al solito,sei stata tanto dolce ed affettuosa.rimarrai sempre nel mio cuore e nei miei pensieri,ciao Anna Maria.,.

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