MENU

Multitasking/La mia mamma sa cos´è

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

28
SET
2012

 

Correre, essere veloci, fare più cose contemporaneamente sembra l’imperativo delle nostre vite: computer, smartphone, televisione, lavoro, studio. Pensiamo di poter fare tutto insieme senza perdere la concentrazione. Ma è realmente così?
 
Multitasking è l'atto di fare le cose contemporaneamente. E' spesso incoraggiato tra gli impiegati e gli studenti, perché si crede che il multitasking sia più proficuo che concentrarsi su una singola attività in una sola volta. Sembrerebbe che in alcuni casi il multitasking è davvero un modo efficace per utilizzare il tempo, mentre in altri casi, la qualità del lavoro viene messa seriamente in pericolo.
Il termine inizialmente emerse nel settore della tecnologia, infatti i primi computer erano in grado di svolgere una sola funzione alla volta, anche se a volte molto rapidamente. Più tardi i computer sono stati in grado di eseguire una vasta gamma di programmi cosi, alla fine del 1990, la gente ha cominciato a utilizzare il termine "multitasking" per descrivere gli esseri umani, specialmente in ambienti di ufficio.
Sempre più presente nelle chiacchierate tra colleghi, nei suggerimenti dei consulenti, sugli annunci di lavoro: il saper gestire più cose alla volta sembra infatti essere diventato il requisito fondamentale per fare bene e velocemente il proprio lavoro e competenza indispensabile da elencare sul curriculum.
Per intenderci un impiegato si potrebbe definire multitasker quando risponde ai telefoni, risponde alle e-mail, genera un rapporto e scrive un’email tutto contemporaneamente, o per uno studente di prendere appunti durante una lezione, ascoltando musica e scrivendo sms e  di lavorare su compiti a casa pensando ad un'altra.
Secondo un recente studio della Stanford University di Palo Alto (Stati Uniti), un gruppo di ricercatori, guidati dal sociologo-matematico Clifford Nass, hanno condotto vari esperimenti su 100 studenti, tra multi-attivi e più tranquilli; e hanno concluso che il cervello dell’individuo multitasking lavora male. Infatti gli studenti che portano il computer in classe visitano 62 pagine su 100 che non hanno nulla a che fare con la lezione. Gli impiegati che usano il computer in ufficio, per esempio, si distraggono ogni dieci minuti.
La “multiprocessualità”, infatti, non solo deve all’informatica il nome “d’arte” ma lo è fortemente incoraggiata dagli apparecchi tecnologici e all’abitudine di lavorare allo stesso tempo su vari fronti, sempre tenendo aperte diverse finestre ed elaborando in parallelo varie informazioni (proprio come accade con le finestre del computer). Chi è continuamente bombardato da flussi d’informazione (da telefono, computer, tv) e cerca di fare tante cose insieme è disattento perché non riesce a concentrarsi né a utilizzare bene la memoria. E non riesce a distinguere gli elementi rilevanti da quelli irrilevanti. Con risultati peggiori di quelli dei “posapiano” che fanno una cosa alla volta. La ricerca di Stanford sta proseguendo per stabilire se i multitaskers, “ci sono o ci fanno” ovvero: se sono nati con una minore capacità di concentrazione, o se facendo tante cose insieme danneggiano le loro abilità cognitive. I dati della ricerca, pubblicati su “Proceedings of the National Academy of Sciences”, stanno dimostrando come il multitasking peggiori progressivamente le performance del cervello, che nel saltare in continuazione da una cosa all’altra perde lucidità, capacità mnemonica e organizzativa. Contro il mito del multitasking si scaglia ora il consulente aziendale e conferenziere statunitense Dave Crenshaw nel suo “Una cosa per volta. Quando fare tutto è come fare niente” (Sperling & Kupfer, euro 14), un libretto-guida tra psicologia, economia e management per insegnare a gestire il tempo in modo razionale, dando una tregua ai propri neuroni e guadagnandone in produttività e qualità della vita. Nel “fare a pezzi” i presunti vantaggi del lavorare in maniera frenetica (e schizofrenica), nel suo libro Crenshaw mette a frutto la sua esperienza professionale riproponendo, in forma romanzata, uno dei suoi incontri con una manager allo stremo. Lo fa con una scrittura vivace, anche se non mancano richiami a studi economici o di psicologia cognitiva: così si scopre non solo che undici è il numero medio di minuti che si dovrebbe dedicare a un progetto prima di pensare ad altro, ma soprattutto che le più comuni interruzioni sul lavoro (l’intromissione di un collega, l’allontanarsi volontariamente o meno dalla scrivania, l’arrivo di posta elettronica, il passaggio a un’altra attività sul computer oppure una telefonata) fanno perdere mediamente 2,1 ore di produttività al giorno. Il cervello, infatti, non è in grado di pensare due cose alla volta: saltare in continuazione da un’attività all’altra comporta dei “costi di transizione” in termini di attenzione, di concentrazione e di tempo perso per ricostruire il filo dei pensieri.
Non possono mancare anche i consigli guida per riportare le vittime “del faccio tutto, subito e contemporaneamente” ai valori normali di una vita lavorativa e privata, più distesa e realmente organizzata nel rispetto di ci circonda. Numerosi i consigli pratici:
Rinunciare ai messaggini. Non prendere mai impegni senza consultare l’agenda, escludere sul proprio computer il segnale sonoro di posta in arrivo, se possibile disattivare i programmi di instant messaging (che “ti piovono addosso in tempo reale e costituiscono una fonte di interruzione a cui è quasi impossibile sfuggire”), utilizzare con scrupolo smartphone e “tutti gli aggeggi più alla moda”. “Molte persone si cullano in un’illusione - continua -, quella che la tecnologia, il telefonino, la posta elettronica, il fax, le chat, gli sms e questo genere di cose ci rendano più produttivi. La realtà, invece, è che questi aggeggi ci rendono più produttivi solo se impariamo a tenerli sotto controllo: noi i padroni e loro al nostro servizio. Se non pianifichiamo le giornate, salvaguardando il nostro tempo, ci lasciamo travolgere dalla valanga d’informazioni cui siamo esposti” consiglia Crenshaw.
Tutela dei rapporti. Non è solo una questione di inefficienza sul lavoro, in ballo ci sono anche i rapporti con gli altri: “Quando cerchiamo di fare più cose per volta coinvolgendo un’altra persona - continua Crenshaw -, per esempio dedicandogli un’attenzione frammentaria e non più di qualche attimo rubato a qualcos’altro, il costo è superiore al mero calcolo del tempo sprecato: il nostro comportamento finisce per danneggiare il rapporto con gli altri”, che siano colleghi, familiari, amici o “anche la cassiera del supermercato, che è una persona in carne e ossa ma noi la trattiamo come un’incombenza tra le tante che dobbiamo sbrigare”.
La cara e vecchia agenda. La soluzione sta allora nell’organizzare il più dettagliatamente possibile il proprio tempo, costruendo (e cercando in tutti i modi di rispettare e far rispettare dagli altri) una vera e propria tabella oraria degli impegni. “Il fattore chiave - spiega Crenshaw - è pianificare in anticipo la giornata, in modo da stabilire quando occuparsi di ogni cosa (dalle telefonate alle riunioni con colleghi e dipendenti, fino al tempo per se stessi e per la famiglia) e non saltare continuamente da una cosa all’altra”.
Il decalogo di Mamy. Poi leggendo il libro di Crenshaw e riflettendo sulla ricerca di Stanford, ho dedotto che mia madre (e sicuramente anche le vostre) i suoi studi e le sue deduzioni in maniera molto più pratica e lungimirante le ha condotte e sviluppate con azioni mirate già da molto tempo prima.
“Fai la lista della spesa!”; “Ma perché non spegni sul cavolo di telefonino!”; “Ma oggi non avevi un appuntamento?”; ”Vuoi smetterla di stare sempre attaccato al computer!”; “Se fai 100 cose insieme cosa pretendi?”; “Datti una calmata!”; “Ti presa le bustine magnesio?”.


Lascia un commento

Nome: (obbligatorio)


Email: (obbligatoria - non sarà pubblica)


Sito:
Commento: (obbligatorio)

Invia commento


ATTENZIONE: il tuo commento verrà prima moderato e se ritenuto idoneo sarà pubblicato

Sponsor