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Claudia Loi/Mai più Capaci

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

19
OTT
2012

 

Intervista alla sorella di Emanuela, uccisa dalla mafia insieme al giudice Borsellino e al resto della scorta. Dopo il dolore, rimane la fiducia nella giustizia, ma non nello Stato, e una speranza: che le nuove generazioni non ripetano gli errori (e gli orrori) del passato
 
Intitolare i Presidi della legalità a vittime di mafia è la scelta che “Libera, associazioni, nomi e numeri contro le mafie” ha adottato a livello nazionale, perché ritiene importante la “memoria” di tutti coloro che hanno sacrificato la propria vita in difesa dello Stato e delle Istituzioni. La Provincia di Taranto ha già provveduto con quello dedicato al capitano “E. Basile” a Ginosa e a “A. Montinaro” a Mottola, per ultimo quello di Pulsano a “Emanuela Loi”, l’unica donna poliziotto della scorta al servizio del giudice Borsellino. Ho conosciuto la sorella di Emanuela, Claudia, timida e semplice, che come tanti familiari delle vittime di mafia ha deciso di non tacere nel lutto e di trasformare il proprio dolore in impegno, incontrandosi con la gente per ricordare, ma soprattutto per chiedere verità, giustizia e cambiamento. Claudia parla della sorella descrivendola come una ragazza piena di interessi che ama la vita e che sogna di sposarsi, curiosamente poco mediterranea (era di Sestu in provincia di Cagliari), coi capelli biondi e gli occhi chiari. Emanuela aveva preso un diploma per insegnare alle elementari e mentre aspettava un'assegnazione, tentò l'esame per entrare in Polizia insieme alla sorella Claudia. Claudia, che aveva sempre sognato di diventare un'agente, non fu ammessa. Emanuela, appassionata di bambini, ci riuscì e due anni dopo fu trasferita a Palermo. Mi incuriosiscono le parole di Claudia: facendo svanire l’icona della divisa della sorella, della poliziotta che era, le chiedo ancora di Emanuela.
Può raccontarmi degli episodi di quando eravate bambine?
«Tra me e mia sorella c’era solo un anno di differenza, io sono del ‘66, lei era del ‘67, per cui facevamo le stesse cose: ci piaceva tantissimo il mare, ma soprattutto a Emanuela piaceva nuotare, infatti d’inverno andava in piscina: lei era una sportiva. Eravamo molto unite, anche con mio fratello, che è del ’65, per cui quando Emanuela vinse il concorso e fu trasferita a Palermo, lo avvertimmo come un forte distacco, perché non era mai andata via da casa».
Era contenta del lavoro?
«Non ne parlava mai. Una cosa è certa, voleva tornare a casa, era fidanzata e voleva sposarsi. Non sapevamo che fosse entrata a far parte delle scorte; aveva cominciato proprio 15 giorni prima della tragedia, quando dopo la morte del giudice Falcone avevano rafforzato le scorte alla caserma “Libertà” di Palermo». 
Era già stata a casa per le ferie?
«Sì, era rientrata il giovedì, aveva fatto prima la scorta a Barbera; l’ho letto sulla sua agenda in cui trascriveva tutto, poi la domenica è accaduta la strage».
Emanuela ha scelto di fare il concorso in polizia un po’ per seguire lei. Claudia, perché voleva fare la poliziotta?
«Perché mi piace aiutare il prossimo, ma non lo sono più diventata. Ora mi fa male anche solo pronunciare la citta di Capaci e mi provoca ancora tanto dolore portare la testimonianza di quell’accaduto, ma è più forte di me, ho il dovere di farlo. Anche i miei genitori sono morti subito dopo quella tragedia: mio padre dimagrì piano piano e si lasciò morire».
Nonostante il dolore che ancora prova, vuol conoscere la verità sulla strage di via d’Amelio?
«Certo! Io vivo anche per questo».
Ha fiducia nella giustizia?
«Tantissimo!».
E nello Stato?
(Tentenna con un movimento della testa, ndr).
Vuole lanciare un messaggio in nome tuo e di Emanuela?
«Mi auguro che la morte di mia sorella riesca a scatenare nei giovani voglia di rinnovamento e miglioramento».
Lei pensa che il cittadino comune sia propenso al rispetto delle regole? Che non si lasci corrompere?
«Bisogna educare i bambini al rispetto delle regole da subito, da quando vanno a scuola».
Emanuela le rispettava?
«Non si è mai rifiutata di rispettarle: quel giorno della strage di via d’Amelio era ammalata».
Come si sente dopo gli incontri, nonostante la sua commozione?
«Sono confortata e avverto una sensazione positiva, riuscendo ad avvertire l’empatia delle persone che mi circondano».
Purtroppo, insieme al giudice Borsellino e ai suoi compagni della scorta, Emanuela è rimasta uccisa  nella strage di via D’Amelio, sulla quale ancora oggi non si è fatta verità e resta ancora da capire quale fu il ruolo dello Stato, se realmente le istituzioni, o parte di esse, strinsero un patto con la mafia e quali le conseguenze di quella “trattativa” in questi 20 anni. Fare “memoria”, pertanto, è un impegno, un dovere verso la società tutta, verso le coscienze di cittadini, uomini e donne, che vivono il proprio tempo senza “rassegnarsi”.



Commenti:

ANPS Torino 4/MAR/2015

Sono delle iniziative molto importanti, poiché, ricordare e portare a memoria futura una giovane ragazza, trucidata nell'adempimento del dovere al servizio delle Istituzioni Democratiche, ma, in particolare di tutti i cittadini. Questo è sicuramente cosa molto lodevole ma penso anche dovuta nei confronti dei familiari della Vittima del Dovere. Antonio Guerrieri Presidente Sezione ANPS Torino

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