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Vittorio Donnici: Miracolo Allende

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

16
MAR
2012

 

Trentasette anni di storia caratterizzata da un’unica costante: creare posti di lavoro. Parla il Presidente della Cooperativa “Salvador Allende”, di quello che è stato, di quello che sarà e afferma: “il cambiamento può partire solo se si è consapevoli dei reali bisogni della gente”
 
Vittorio Donnici, lei è il Presidente della Cooperativa “Salvador Allende” la più importante realtà associazionistica di consumatori del nostro territorio; come state vivendo questo periodo di crisi che sta attraversando il nostro paese?
 «Sicuramente la crisi si fa sentire, i consumi si sono bloccati e molte famiglie non riescono più ad arrivare a fine mese. Tutto ciò  mette in crisi diversi esercizi commerciali, con le conseguenze che tutti possono immaginare. Per quando riguarda la nostra attività, nell'anno 2011 registravamo una crescita costante di circa di sedici punti percentuali che, improvvisamente, nel mese di dicembre è scesa a due punti mantenendosi agli stessi livelli nei mesi di gennaio e febbraio 2012. Tutto sommato, osservando quello che succede intorno a noi, dobbiamo ritenere soddisfacente il nostro risultato. Ciò che rende drammatica la crisi sono le continue richieste di lavoro che riceviamo. Infatti, in quest'ultimo periodo, queste sono notevolmente aumentate e alle numerose richieste di tanta gente in cerca di prima occupazione si sono sommate altrettante richieste di persone che hanno perso il posto di lavoro per colpa della crisi e non solo. Attualmente abbiamo circa duecento richieste di lavoro in sospeso.»
 
Nel tempo la vostra cooperativa si è andata sempre più affermando, vincendo il confronto con organizzazioni commerciali anche di livello internazionale. Ritiene di aver realizzato un piccolo miracolo, consolidando una realtà cooperativistica in una terra che notoriamente è poco incline alle società di lungo corso?
 «Miracoli? Quelli lasciamoli ai santi. Sicuramente abbiamo dimostrato che la forma cooperativistica, fatta seriamente, è un modello di sviluppo possibile e credibile. La nostra forza sta certamente nello stare insieme a cominciare dalle donne e dagli uomini che lavorano con noi fino al Consiglio di Amministrazione che hanno saputo interpretare  il vero spirito della cooperazione. Noi non pretendiamo di essere la panacea di tutti i mali né di essere il modello migliore di sviluppo economico: pensiamo solamente di rappresentare uno dei tanti modelli possibili, con potenzialità elevate ancora poco conosciute e apprezzate nella nostra  realtà. Le due linee-guida che nella cooperativa si sono intrecciate saldamente tra di loro e “praticate” visibilmente nelle varie fasi che abbiamo attraversato, sono: la volontà di stare insieme e la ricerca del bene comune.»
 
In un momento di crisi molto forte, siete tra i pochi non solo a mantenere i livelli occupazionali esistenti, ma a creare dei nuovi posti di lavoro.
 «La nostra storia racconta che il livello occupazionale è stato un obbiettivo primario; infatti il numero dei dipendenti è sempre cresciuto e mai è accaduto di veder diminuire l'organico rispetto all'anno precedente. Tutto ciò nonostante la concorrenza sleale e la completa mancanza di regole e controlli nel settore in cui operiamo. Attualmente la nostra Cooperativa occupa cinquantatre persone full-time e per il prossimo futuro  vogliamo, continuando  con la nostra vocazione, creare nuovi posti di lavoro. Entro la fine del 2012 abbiamo già programmato una serie di investimenti che consentiranno una occupazione stabile a almeno trenta nuove persone e di questi tempi, non mi pare poca cosa.»
 
 
Da “uno scaffale in cui alloggiare gli alimentari da vendere agli associati” (come recita la pubblicazione con la storia della Cooperativa), all’ingresso nel settore immobiliare: ne avete fatta di strada in questi anni.
 «Se lo sguardo va all'indietro, percorre una micro storia che si intreccia con la storia degli ultimi trentacinque anni, con il grande movimento sindacale degli anni Settanta e poi segue un percorso di esperienza sociale arricchito da ampi contenuti ma, soprattutto, sostenuto da una forte e intensa idealità. Negli anni Settanta, “uno scaffale in cui alloggiare gli alimenti da vendere agli associati” è stata la prima versione dello spaccio alimentare. Gli alimentari erano generi di prima necessità, che venivano venduti a minor prezzo rispetto ai tradizionali esercizi commerciali, cosa che consentiva alle famiglie associate di poter ottenere un risparmio nel fare la spesa. All'inizio il volume di affari era di poche centinaia di migliaia di lire. L'iniziativa, totalmente volontaria, veniva condotta da lavoratori dell'area industriale che si alternavano secondo i rispettivi turni di lavoro. L'attività veniva praticata nella sede della FLM. La storia del circolo “Allende”, nato come spaccio alimentare per corrispondere ai bisogni concreti dei primi soci, si sviluppa negli anni successivi, come esigenza di un luogo dove incontrarsi. La svolta avviene dalla metà degli anni Ottanta: la creazione della cooperativa alimentare, che diviene autonoma e si espande per proprio conto; questo consente anche al Circolo la sua crescita, si evidenziano e si sviluppano le idee e i valori della partecipazione sociale, gratuita e volontaria. La cooperativa “Salvador Allende”, oramai diventata una importante realtà in trentasette anni di vita, è cresciuta con ritmi positivi e adesso consta di quattro punti vendita, di cinquantatre dipendenti e quattromilaottocento famiglie associate, con un fatturato che, nel 2011, ha raggiunto i dodici milioni di Euro.»
 
Perché avete sentito la necessità di diversificare; quello “scaffale” all’improvviso è diventato troppo piccolo?
 «In realtà è stata una strada obbligata, perché a un certo punto ci siamo resi conto che gli affitti dei locali erano cosi spropositati che conveniva acquistare il locale dove aprire l'attività pagando una rata mensile addirittura inferiore al canone di locazione. Così, sulla base di questa considerazione abbiamo ritenuto di creare una società immobiliare, coinvolgendo tutti i soci della cooperativa disponibili a investire, riconoscendo agli stessi la proprietà degli immobili e il beneficio a riscuotere o rinvestire i canoni degli affitti pagati dalla cooperativa. Tutto ciò in un momento così delicato come quello che stiamo attraversando, dove il futuro non dà certezze, ci è sembrato il migliore investimento da offrire ai nostri soci.»
 
Intorno alla vostra cooperativa ruota un variegato mondo fatto di associazionismo e impegno sociale; in pratica, siete rappresentati di quella “società civile” molto spesso invocata come possibile promotrice di un cambiamento. Come giudica lo stato in cui attualmente versa Martina Franca?
 «Abbiamo sempre collaborato intensamente con le scuole, di ogni ordine e grado, interagendo in  modo positivo ed efficace. Abbiamo collaborato altresì, in modo continuo e proficuo, con tante, tantissime associazioni, volontari, parrocchie e altre realtà del nostro territorio, in una miriade di iniziative, di cui abbiamo condiviso le finalità e l'impegno, offrendo il nostro contributo. Sicuramente lo stare insieme ad altre realtà che operano nel sociale fa crescere la consapevolezza che bisogna impegnarsi affinché possa verificarsi un cambiamento, partendo dai bisogni e dalle necessità delle persone più deboli, facendo sì che la politica possa ritrovare la voglia di mettersi al servizio del territorio e dei cittadini. Penso che Martina Franca resta una delle città più belle della nostra Puglia, nonostante l'immobilismo della classe politica abbia innescato un meccanismo che ha portato la città a un tale degrado che oramai è sotto gli occhi di tutti. Non esistono regole per una convivenza civile, il centro storico è abbandonato a se stesso, i marciapiedi sono diventati  parcheggi, il traffico caotico rende ormai invivibile la città, non vengono rispettati i vincoli urbanistici, l'abbattimento delle barriere architettoniche è solo un sogno e infine l'ente comune, che dovrebbe essere al servizio dei cittadini per creare sviluppo e servizi, non fa altro che apporre ostacoli di natura burocratica che penalizzando la comunità.»
 
Lei ha vissuto l’esperienza di “Martina Libera e Solidale” che portò Martino Margiotta a essere il primo sindaco eletto dal popolo. Crede che quella sia stata una stagione irripetibile oppure sente nell’aria  un “vento di cambiamento”?
 «Martina Libera e Solidale è stata un'esaltante esperienza nata da un laboratorio tra l'associazionismo laico e quello cattolico che per il bene comune, superando le diversità di vedute,  decise di formare un movimento politico che portò a una grande condivisione e partecipazione di tutta la cittadinanza martinese. Sicuramente quella esperienza ha dimostrato che i cambiamenti sono possibili, anche se poi qualche controindicazione è venuta fuori. Per questo penso che è una esperienza che appartiene al passato, anche perché nel frattempo sono avvenuti altri accadimenti che hanno dimostrato che il cambiamento si può fare anche con altre formule. Mi riferisco a quanto si è verificato nella nostra regione con l'affermazione di Vendola contro Fitto (astro nascente di Forza Italia), con Pisapia a Milano nonostante la discesa in campo di Berlusconi e infine la vittoria di De Magistris a Napoli dopo la dissennata amministrazione della Iervolino. E' un cambiamento di questo tipo che auspico per la nostra città.»
  
 


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