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GENITORI FIGLI LAVORO/«Mamma, vado via»

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

27
MAR
2015
Se tornano, tornano solo per pochi giorni e poi tornano nello Stato, nella città, nell’ambiente che gli ha accolti e che ha saputo valorizzare e sfruttare le loro potenzialità e capacità. Noi raccontiamo le loro storie
 
 
Giovanni, Saverio, Mario, Anna, Luciano, Anna Maria, Adriana, Franco, Patrizia, Rosalba, Giorgio.
Probabilmente non tutte queste persone si conoscono tra loro, ma tutte hanno in comune la stessa città di residenza; i figli lontani, alcuni addirittura all’estero e le loro case sempre più desolatamente grandi e vuote. 
Questa situazione, comune a tante famiglie, mi ha portato a fare delle telefonate e una piccola indagine sull’argomento; sull’aspetto che accomuna i loro figli: tutti per esigenze lavorative hanno lasciato casa e si sono avventurati, con la benedizione dei genitori, nel mondo.
Giovanni è da 4 anni in pensione e con i sacrifici di una vita, aiutato dalla moglie Francesca, casalinga, che ha dedicato la vita alla famiglia e ai figli, è riuscito a comperare un appartamento per se e per i figli. Ma il figlio Angelo, dopo aver raggiunto la laurea e mandato curriculum a destra e a sinistra un giorno, mentre stavano pranzando, ha detto al padre che si sarebbe trasferito a Dublino. “A Dublino? E dove si trova Dublino?” “In Irlanda”, gli rispose il figlio. “E che ci vai a fare in Irlanda?” “Vado a vedere se trovo qualcosa da fare. Se entro sei mesi non risolvo nulla, torno. Almeno avrò perfezionato un po’ il mio l’inglese. ”Ora il figlio Angelo, che ha 33 anni, da 9 anni risiede e lavora a Dublino. La sorella Federica, anche lei laureata, ha seguito le orme del fratello, fermandosi però prima, a Roma, dove ha trovato lavoro presso un’azienda che si occupa di consulenze finanziarie. Le probabilità che i figli tornino a Taranto sono talmente remote che Giovanni e Francesca ormai hanno perso ogni speranza e si accontentano di sentirli per telefono e rivederli quei pochi giorni che passano con loro d’estate.
Saverio, ex vigile urbano, ha anche lui due figli residenti all’estero: uno è laureato in ingegneria spaziale e risiede nella Guyane Francese, dove lavora per una ditta che opera nel settore aereospaziale. Il secondo, anch’esso laureato, si è trasferito prima a Roma e successivamente in Inghilterra. Anche per Saverio le possibilità di rivedere i figli a Taranto si sono fatte sempre più remote. “Il problema non è stato lasciarli partire, la difficoltà è vederli tornare”, mi dice abbassando lo sguardo.
Mario, di Martina Franca, ha un figlio che dopo il liceo ha deciso di lavorare, ma non trovando nessuna occupazione a Taranto, né nei dintorni, ha fatto le valige e si è trasferito a Milano, da prima ospite di parenti e successivamente, una volta impiegato in una ditta di trasporti internazionali, ha acquistato casa nell’hinterland milanese e si è sposato.
Anna è sposata con un medico e ha due figli: uno si è laureato e lavora da anni a Milano, l’altro si è trasferito da due negli Stati Uniti d’America, a New York. “L’unica consolazione è sapere che stanno bene e che sono contenti del lavoro che svolgono. Questa lontananza ci ha dato anche l’opportunità di visitare due volte questa metropoli americana, che non conoscevo, ma che ho trovato molto bella”. Vederli tornare a Taranto sarebbe un sogno, dopo tutti i sacrifici che abbiamo fatto, ma ormai da tempo ogni speranza ha lasciato il posto alla più nitida realtà.”
Luciano si occupa di ristrutturazione d’interni, ha due operai e fa i salti mortali per pagarli e arrivare a fine mese. Il figlio, stanco della situazione, imparato il mestiere di muratore dal padre, si è trasferito in provincia di Torino. (De gustibus non est disputandum.)
Anna Maria risiede nel Comune di Laterza. Ha tre figli e una casa enorme costruita su due piani, mattone su mattone, pensando alle loro esigenze. Ora che si sono laureati, sposati e se ne sono andati, Anna Maria e il marito, si stanno chiedendo se restare in quella casa ha ancora un senso: due piani, quattro appartamenti, di cui tre vuoti e un giardino troppo grande da gestire da soli. Cosa fare? Vendere e raggiungere i figli? Ma quale? Ognuno di loro vive in una città diversa.
Adriana lavora come impiegata in un ente pubblico. Il marito è in pensione da qualche anno e anche i loro due figli sono lontani da casa. Il figlio Fabio, ingegnere, lavora per un’ azienda petrolifera che ha sede a Milano, ma lui è sempre in giro per il mondo: Algeria, Emirati Arabi, Olanda, Polonia. A Taranto torna sempre più raramente. La figlia Roberta, sposata, è medico geriatra e lavora presso la ASL, e si divide tra le province di Bari e Foggia. “Non ci lamentiamo, almeno possiamo vedere abbastanza spesso i nipotini che risiedono a Bari. E quando mio figlio Fabio è a Milano, con un volo lo raggiungiamo per stare qualche giorno con lui.”
Franco, anche lui pensionato, ha un figlio che a vent’anni ha vinto il concorso in Polizia e da anni ormai risiede e convive a Milano. “La sola consolazione che ci è rimasta è quella di fare i nonni al nipotino del nostro secondo figlio, che miracolosamente ha trovato posto in città”.
Patrizia, anch’essa dipendente di un ente pubblico, purtroppo vedova da poco tempo, ha una figlia che per lavorare si è trasferita anch’essa a Roma, dove si è sposata e ormai risiede stabilmente. A Taranto è tornata per i funerali del padre e quando il lavoro glielo consente, torna per fare un po’ di compagnia alla madre.
Rosalba, mentre faceva ancora la ragioniera in uno studio notarile (ora in pensione), ha visto partire, prima il figlio Danilo che dopo aver frequentato l’università e laureatosi a Firenze ha lasciato l’Italia e si è trasferito in Germania. La figlia Barbara, avendo trovato lavoro a Bari per una ditta austriaca, si è sentita proporre il trasferimento in Austria ed ora vive e lavora a Salisburgo da quattro anni. (Per completezza di notizia, Barbara è fidanzata con un ragazzo, anch’esso pugliese, che vive e lavora a Londra e si incontrano, quando possono e se gli impegni lavorativi lo consentono, ogni 20 giorni a Londra, a Salisburgo, o a mezza strada: Parigi.
Giorgio, anche lui pensionato, ha lasciato partire il figlio Antonio quando aveva 19 anni. Antonio si è laureato in ingegneria meccanica e da venti anni lavora a Milano e convive con una ragazza americana, di Los Angeles.
Questi conoscenti: chi sorridendo amaramente, chi restando in silenzio per qualche minuto a riflettere, chi ridendo amaramente, chi con le lacrime agli occhi, tutti mi hanno detto che le loro aspettative, le loro speranze e i loro progetti, sono stati stravolti dalle partenze, dalla lontananza dei figli. 
I figli di queste persone, prima sono partiti per frequentare magari l’università in altre città, qualcuno è tornato, ma subito ripartito. Trovata la loro strada, lontano da casa, adesso parlano con distacco della terra d’origine, della loro città e sono sempre i genitori a chiamare per primi, per sentirli anche solo pochi secondi al cellulare. Se tornano, tornano solo per pochi giorni, per far piacere a mamma e papà e per incontrare i vecchi amici rimasti. Restano il tempo di un battito di ciglia e poi tornano nello Stato, nella città, nell’ambiente che gli ha accolti e che ha saputo valorizzare e sfruttare le loro potenzialità e capacità. 
Ai genitori cosa rimane?, chiedo a uno di loro: “Solo tasse spropositate per mantenere case troppo grandi e vuote. Case ostinatamente volute, costruite pensando ad una vecchiaia attorniata da figli e dai nipoti, ma che sono rimaste irrimediabilmente vuote e ormai inutilizzate. Sì. Si potrebbero fittare, ma la speranza è sempre l’ultima a morire.”
La speranza. Solo quella è rimasta. Tutti questi genitori continuano a pagare le spropositate tasse sulla proprietà, illudendosi che un giorno, in questi ambienti vuoti, possano tornare ad echeggiare il riso e le voci dei loro figli, dei loro nipoti. Magari quando, ormai stanchi di girare il mondo, sentiranno la nostalgia di casa, della loro Terra. Continuare a sperare non costa nulla, ma intimamente sanno che questo non potrà mai accadere. 
 


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