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Banco di prova/Se cambia Taranto, cambia l´Italia?

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

21
DIC
2012

 

Migliaia di manifestanti in piazza sabato 15 non fermano la legge  Salva Ilva appena varata. Cosa faranno i 15mila dell’ultimo corteo?
 
«Ho un debito morale e politico verso la città in cui sono nata e vissuta per un ventennio; e verso mia sorella Paola che, come tanti altri tarantini e tarantine, ha pagato con un tumore letale la scelta di restare a Taranto…  dopo molti ripensamenti, finii per accettare l’invito di Gad Lerner a intervenire nella puntata dell’Infedele dedicata all’Ilva di Taranto in diretta da una piazza del rione Tamburi, il più colpito dai fumi esiziali dell’acciaieria e del profitto (lunedì 1 ottobre 2012). Mi sembrò una scelta giusta e coraggiosa… Nonostante la sua qualità, la puntata sull’Ilva fu seguita però da pochi: “Credo di aver fatto la miglior trasmissione da anni e di averne ricavato lo share più basso”, scrisse Lerner nel suo blog, perché “così va la tv” (fonte: http://blog-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it)».
A scrivere due mesi fa queste righe amare nel suo blog è Annamaria Rivera, tarantina come si sarà capito e soprattutto antropologa all’Università di Bari. Stesso copione sabato passato. Una manifestazione enorme, tarantini della città e della provincia a manifestare per il diritto alla salute, ad un ambiente pulito, per il diritto al lavoro e ad un reddito. Tutti presenti tranne i media. Eccetto  le solite La7 e Rai3, nessuno nel resto d’Italia doveva sapere che migliaia di persone (forse quindicimila cittadini) erano in piazza in maniera nonviolenta e allegra.
Tre giorni dopo è andata in onda una puntata di Fahreneit – che merita di essere riascoltata in podcast andando sul sito di Radio 3 – l’argomento di martedì 18 dicembre era “Corpi disarmati in battaglia. Fino a che punto il corpo può essere arma politica?” Tra gli ospiti la già citata docente tarantina Rivera, che ha appena pubblicato un saggio sul fenomeno delle autoimmolazioni pubbliche e di protesta: nel testo  descrive ciò che è accaduto in alcuni paesi del Mediterraneo negli ultimi anni.  Interessante il discorso su chi sceglie di immolarsi come estremo atto politico. Tutto partì dal suicidio di Mohamed Bouazizi, l’ambulante tunisino che si diede fuoco in una cittadina tunisina quasi due anni fa, il 4 gennaio 2011. Da lì divampò la protesta che portò alla rivoluzione dell’intero Maghreb, alla cacciata di dittatori come Gheddafi e del prossimo despota Assad in Siria. 
A Taranto un intero popolo per cinquant’anni si è immolato per sopravvivere e per comprarsi l’auto nuova. Ed è stato immolato sull’altare dell’industrialismo, dell’acciaio ad ogni costo. Con la crisi della politica la stessa partecipazione di massa ad azioni collettive da molti autori veniva ancora di recente considerata inattuale. Eppure Taranto come i No Tav della Val di Susa, i No Dal Molin a Vicenza, segnalano una nuova partecipazione. Le masse si mobilitano. 
Cruciale il 2013: se la neonata legge ‘ammazza Taranto’ sarà dichiarata incostituzionale, se il movimento di ‘Taranto Libera’ e dintorni non sparirà per consunzione, perché presa dalla fatica di durare, di inventarsi forme nuove, creative ma pur sempre nonviolente, la città sarà cambiata per sempre e con essa l’Italia intera. La provincia ionica non sapeva di essere così influente sulle sorti dell’acciaio di tutta Italia e dunque del sistema industriale nazionale. Ora lì lo sanno tutti.
Potrebbero rivedersi presto scene come quella accaduta quasi all’inizio del corteo di una settimana fa, quando un militante anziano, sempre presente a tutti i raduni che contano, citofonava all’impazzata ai condomini di viale Liguria urlando di scendere, unirsi agli altri, manifestare. 
Angelo Cannata, un ragazzone conosciutissimo in città vecchia per l’impegno sociale e per la salvaguardia della mitilicoltura, sempre sabato raccontava come sia cambiato dentro dopo quel fatidico 26 luglio, quando avvenne il famoso sequestro degli impianti Ilva. Non aveva buona memoria. Da questa estate ricorda tutto, date, coincidenze, manifestazioni, santi, è diventato un calendario vivente. È uno dei tanti colpiti dal big bang delle coscienze. Tra molti anni, quando i nipoti chiederanno dove era quell'estate del 2012 mentre cambiava la storia di Taranto, Angelo saprà cosa rispondere.
L’uso della testa e prima ancora dei corpi come durante una manifestazione obbliga a riscoprire, assaporare la lentezza. Perché bisogna aspettare, stare fermi. Fare gruppo, numero, il tuo privato diventa pubblico. Si tratta di scrivere con i piedi un discorso comune, invocare marciando quello che molti faticherebbero a dire con proprie parole. Un po' come il vecchio rosario per le nonnine, che sostituiva lo sforzo personale di trovare un canale comunicativo con Dio: manifestare è un atto di fede. Qualcuno in giro sabato scorso si chiedeva cosa sarebbe cambiato dopo tutto ciò. Sarà scontato dirlo, ma forse sono cambiati i tarantini. 
Non cambieranno presto i media conniventi, come le intercettazioni hanno dimostrato ampiamente a Taranto. E allora questa fase di silenzio stampa doloso potrebbe cedere il passo alla repressione. Se la città continuerà a gridare a vuoto la propria disperazione qualche gesto isterico potrebbe materializzarsi. Non aspettano altro i signori dell’acciaio. Fondamentale sarà il ruolo delle Forze dell’Ordine, della politica, del mondo imprenditoriale: dovranno dire con chi stanno, se nuovamente complici di piani antidemocratici di sabotaggio del dissenso o con la democrazia dal basso, con il diritto ad autodeterminarsi. A Taranto questa ipotetica spirale di violenza potrebbe fallire in partenza per la mancanza di un pezzo fondamentale per questo disegno incoffessabile: il 15 dicembre le vie del Borgo tarantino risuonavano di urla contro un certo don Marco (ex segretario dell’allora vescovo Mons. Benigno Papa) e ovviamente contro il Ministro dell’Ambiente (si fa per dire) Clini. Invocavano a gran voce Patrizia Todisco. Magistrata a Taranto. 
 


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