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Vite sullo schermo

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

29
SET
2016
Sulla scorta dei recenti fatti di cronaca, mi sembra doveroso dedicare una piccola riflessione sul rapporto tra vita privata e mezzi di comunicazione telematica.
 
Chiunque sa che col termine ‘memoria’ si intende «la permanenza di uno stimolo al di là della sua durata fisica». Ovviamente lo stimolo, l’evento di cui si serba memoria, svanisce nell’incessante flusso del divenire, ma di esso ne sopravvive una riproduzione, impressa in un dato supporto, fisico o biologico che sia. Quindi, abbiamo una memoria cerebrale, biologica, che dura al massimo quanto la vita di un dato individuo; e poi, abbiamo, inoltre, le memorie artificiali (su carta, su celluloide, su disco, in circuito elettronico): esse, di regola, durano molto più a lungo di una singola esistenza umana. 
Oggigiorno, tali memorie – che il progresso tecnologico rende sempre più fedeli alla realtà dei fatti – possono essere facilmente condivise con un numero di persone potenzialmente pari agli utenti dell’intera rete telematica mondiale. Ciò ci permette, senz’altro, di trasmettere in tempo reale delle informazioni utili; ma, d’altro canto, ci consente anche di diffondere, senza particolari difficoltà, dei contenuti oltremodo scomodi, che a loro volta verranno copiati in un numero indefinito di sedi.
Aggiungo, inoltre, che l’umano bisogno di raccontare e di raccontarsi oggigiorno viene in molti casi incanalato nell’enorme facilità di registrazione e condivisione di momenti quotidiani: prassi praticamente ubiquitaria, tanto che molti utenti dei siti di socializzazione si sono trasformati, spesso inavvertitamente, in piccole stelle della ribalta telematica. Come per gli uomini pubblici o come per le celebrità del piccolo e del grande schermo, anche per questa gente – che di fatto è e resta comune – il confine tra vita privata e pubblica si perde man mano, e non senza implicare dei danni. Il proverbiale fantasma del passato, che una volta si dissolveva progressivamente nell’oblio, oggi rischia di perdurare per un tempo potenzialmente infinito, impresso nella memoria condivisa della rete telematica.
Quindi, tardiva o immediata che sia, la reazione psicologica rispetto a certi contenuti consiste appunto nella vergogna: emozione sociale che scaturisce dalla consapevolezza dello sguardo altrui, dal timore della disapprovazione, del rifiuto, dell’esclusione e, più in generale, dell’annichi¬limento della propria persona, relazionata, ad ogni modo, all’esistenza di un altro giudicante, reale o fantasmatico, esterno o interiorizzato. E risulta largamente risaputo che ci si vergogna appunto di ciò che la propria cultura di appartenenza disapprova.
Quindi, per tale problema, sociale prima che individuale, si prospettano varie possibili soluzioni.
Da un canto, si può affrontare la vergogna di petto, rimodellando, a livello sociale o individuale, le credenze da cui essa scaturisce: se non si ritenessero più disdicevoli certi atti, di essi non si proverebbe più vergogna. Questa è la soluzione, liberale, già adottata da molti uomini pubblici e di spettacolo.
D’altro canto, bisogna pure ammettere che la gente rimane, nonostante l’accidentale celebrità della ribalta telematica, sempre tradizionalista nell’animo, quindi soggiogata dalla morale dei padri, con la quale si ritrova continuamente a dover fare i conti.
Ciò implica che si debba educare ad un uso più responsabile del mezzo telematico, nell’attesa che la Rete venga – per quanto oggi lo si ritenga impossibile – opportunamente regolamentata, sempre nel pieno rispetto delle libertà individuali. Ricordiamo che l’effetto collaterale della comunicazione interattiva consiste proprio in questi spiacevoli incidenti, che, stando così le cose, potranno essere, con un’opportuna sensibilizzazione, sì ridotti nel numero, ma mai completamente debellati. Ad ognuno di noi spetta valutare, in cuor suo, quanto sia opportuno continuare a permettere che chiunque – specie se minore, mentalmente immaturo etc. – possa liberamente diffondere, su larga scala, contenuti audiovisivi. Ma, che si voglia o meno, il prezzo della libertà consiste proprio nell’abuso che di essa alcuni possono fare.
 


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