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Centro storico, che peccato

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

3
NOV
2016
Abbiamo parlato la scorsa settimana della fragilità delle zone urbane storiche. Ora ci concentriamo su Martina Franca, città angioina che al di là della facciata seducente nasconde, ma solo allo sguardo degli osservatori meno attenti, alcune emergenze, diverse situazioni da risanare e tutta una serie di frammenti d'arte, misconosciuti e sottovalutati, abbandonati al degrado o poco valorizzati 
 
 
Il centro storico di Martina è bello ed è apprezzato da tanti che vengono a visitarlo, sia dalle città vicine che da nazioni straniere. Il secolo d'oro ha lasciato, qui, un segno indelebile grazie alla fioritura dell'architettura barocca e rococò.
“Qui mangi pane e Barocco” intitolava un réportage di Bell'Italia (n.108, febbraio 1995) dedicato alla nostra città, ma già nel 1968 Cesare Brandi aveva portato all'attenzione nazionale la bellezza del patrimonio che abbiamo ereditato.
Il centro storico è certamente amato per le attrattive che riesce a proporre: il turismo registra un flusso continuo e consistente di visitatori, soprattutto nei mesi estivi.
Ai visitatori frettolosi, di passaggio, ai cittadini distratti e superficiali il centro storico offre tanti monumenti di grande bellezza: abbiamo il Palazzo Ducale con le tempere del Carella, la meravigliosa Basilica di san Martino, la chiesa di san Domenico, con la sua splendida facciata e i suoi marmi napoletani, le chiese del Carmine, di santa Maria della Purità, del Monte Purgatorio. 
Possiamo proporre una serie enorme e variegata di portali barocchi e rococò. Tante belle finestre, barocche e non. Grandi attrattive.
Sotto il vestito sfavillante del Barocco Martina conserva ancora, nonostante rifacimenti, modifiche e abbattimenti che si sono susseguiti negli ultimi secoli, tracce di architettura gotica e rinascimentale risalenti al XV, XVI e XVII secolo, che occorre recuperare e tutelare quanto prima.
Agli occhi di molti amministratori questa situazione è sufficiente per andare orgogliosi della città. Ci sono, però, alcuni inguaribili innamorati che ritengono si possa fare meglio, che si possa, e anzi si debba, alzare l'asticella delle aspirazioni: Martina può essere ancora più bella.
Coloro che alla Bellezza del nostro centro storico hanno dedicato un'attenzione non limitata sanno bene che la città angioina, al di là della facciata seducente, nasconde, ma solo allo sguardo degli osservatori meno attenti, alcune emergenze, diverse situazioni da risanare e tutta una serie di frammenti d'arte, misconosciuti e sottovalutati, abbandonati al degrado e/o poco valorizzati. In via Alfieri, n. 67, c'è uno dei più bei portali “tascabili” della città. Ma è abbandonato a se stesso, coperto di calce e muschio. Nella stessa via, al n. 52 (foto 1), c'è la cornice completamente imbiancata di un balcone al primo piano, che sull'architrave, sotto lo strato di calce, conserva un'epigrafe. Da anni quella epigrafe è coperta con latte di calce, ma la scritta “SOLI DEO HONOR GLORIA 1578” è ripassata con un pennello e smalto nero! Un obbrobrio! Un capolavoro di nonsense! 
Anche in via Erbajuolo, al n. 14, la calce ricopre la cornice di un ingresso, a piano terra, con un'epigrafe, naturalmente illeggibile. Sono numerosi i casi di portali barocchi (via I. Ciaia 18, via Poerio 23, etc.) o in bugnato (Foto 2, via Saraceni 1) e di finestre, in stile rinascimentale (via G. B. Vico, 4), coperti di calce. Non mancano portali contaminati da erbacce (via G. B. Vico, 31 [foto 3] e via Ignazio Ciaia). Altre finestre (vico II san Giuliano, 6) hanno bisogno di un immediato intervento conservativo. Così il magnifico portale del palazzo Marino Motolese (1567), in via Arco Casavola. 
Occorre allora, a mio modesto parere, procedere con urgenza a un impegno collettivo che coinvolga politici ed esperti, forze imprenditoriali, tecnici, per stendere, dopo un'accurata indagine, un piano di interventi mirati, relativi agli edifici pericolanti (vico III Paolo Chiara, via Ignazio Ciaia 1, via Cola di Rienzo), alle case con tetti a pignon da salvaguardare (largo Abate Vinci, quartiere La Lama, vico Donizetti), a rilevare tutta quella serie di 'orpelli', cavi telefonici ed elettrici, antenne, scritte a spray (come in via Alfieri 52, vico I Cola di Rienzo) e a tutte quelle situazioni di abbandono e degrado (via Pisterola 17, vico II san Giuliano 5 [foto 4], via Arco Valente, vico I Alighieri, etc.) che deturpano i monumenti, a dettare norme sui materiali da usare nelle operazioni di ripristino e restauro. 
Alcuni privati hanno compiuto un ottimo lavoro nel restauro di portali, pareti, cornici di finestre (via Toledo 44, via Cennini 16, via Beatrice Cenci 11).
Molti altri, invece, non hanno i mezzi finanziari o la consapevolezza di possedere il frammento di un grande patrimonio artistico, di abitare in una dimora che ha una sua storia prestigiosa.
L'impegno di alcuni privati ha consentito il restauro dell'arco di san Martino (Rotary, 2015), palazzo Giuliani in via Cavour, e altre espressioni architettoniche del XVIII secolo. Al restauro della basilica di san Martino (2000) hanno fatto seguito quelli del Palazzo Ducale (2004), delle chiese della Madonna del Carmine (2008), delle chiese di santa Maria della Purità, del chiostro della chiesa di san Domenico (2013), della chiesa Monte del Purgatorio (2015), del campanile gotico della chiesa di sant'Antonio (2016). Ma nessuna amministrazione ha mai avuto la lungimiranza di guardare al bene centro storico, nel suo complesso, a considerare la possibilità (necessità!) di intervenire con un piano di recupero, di salvaguardia, con un'opera di sensibilizzazione, rivitalizzazione di questo autentico museo all'aperto di cui disponiamo!
Appare del tutto evidente come occorra, su questo obiettivo, la condivisione della cittadinanza tutta, di quella che abita non solo all'interno dell'antica cinta muraria, ma anche di quella che abita nell'altra parte della città, facendo prendere consapevolezza che noi dobbiamo essere i gelosi custodi di un patrimonio che si è accumulato nel corso dei secoli e che abbiamo il dovere di valorizzare questo scrigno dedicando risorse finanziarie ed energie umane, sensibilità e passione, competenze e impegno costante. 
Dobbiamo prendere coscienza, tutti, che il nostro centro storico e le chiese extra moenia, (la cappella di san Donato, 1579, in valle d'Itria, ha urgente bisogno di un restauro!) costituiscono un patrimonio che non appartiene soltanto a Martina e ai martinesi, ma all'intera nazione e all'umanità. A prescindere dai riconoscimenti dell'Unesco.
Rivolgo allora un appello a quanti sono impegnati concretamente nella gestione della res publica, a raccogliere questa sfida, a coltivare quell'invito alla Bellezza, perseguito dai martinesi nel Settecento, per trasmettere il messaggio alle giovani generazioni. Utopia? La vida es sueno? Personalmente spero che qualche politico impegnato, sensibile e coraggioso raccolga questa scommessa e traduca in termini operativi quello che non è stato mai realizzato e che renderebbe ancora più unica Martina Franca!
 


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