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Intervista doppia/Metti una sera a cena

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

15
FEB
2013

 

“Quasi” avvocato lei, attore lui. Pierfrancesca Lato e Giovanni Di Lonardo ci raccontano la passione per la loro professione e le difficoltà per svolgerla. Due lavori diversi, ma la stessa voglia di farcela nonostante tutto
 
Nessuno penserebbe mai che un aspirante avvocato e un giovane attore, soprattutto in questo momento storico in cui affermarsi nella vita professionale è estremamente difficile, si trovino ad affrontare gli stessi luoghi comuni e varie situazioni simili. Due professioni abbastanza distanti e differenti tra loro, Pierfrancesca Lato e Giovanni Di Lonardo, una praticante avvocato e un attore di teatro e non solo; due percorsi di vita diversi, ma sicuramente lo stesso sano ottimismo per affrontare il futuro che li attende. Leggiamo cosa hanno da dirci. 
Che fai nella vita?
Giovanni: «L’attore».                                                                                                                            
Pierfrancesca: «Sono sulla buona strada per fare l’avvocato».
Sognavi di farlo da bambino?
Giovanni: «Sì, a dieci anni mi resi conto di sentirmi a mio agio davanti a molte persone e a giocare a essere qualcuno che non ero. Soprattutto mi sentivo a mio agio nel dire sfacciatamente bugie; non ero più giudicato per il fatto stesso di dirle, ma per il modo in cui le dicevo».                                                                                
 Pierfrancesca: «In realtà da bambina volevo fare tante cose, dalla ballerina, all’attrice e in seguito, anche l’avvocato».
In che modo hai scelto di intraprendere questa strada?
Pierfrancesca: «Studiando il Diritto mi sono appassionata alla materia, nel verificare con mano come questa disciplina riesca a influenzare la vita di tutti i giorni e come possa diventare una cosa tangibile nella quotidianità».
E’ semplice svolgere la tua professione?
Giovanni: «No, non  lo è come per qualsiasi altra professione. Penso che ogni tipo di percorso sia costellato di rinunce, sacrifici, ma anche tante gioie che ripagano il sudore della fronte».                                                                                        
Perché lo dici con questa convinzione?
Giovanni: «Perché negli ultimi anni il mio lavoro è stato fortemente svalutato e reso accessibile a chiunque; spesso accade che proprio le persone con meno talento o attitudine, abbiano più velocemente notorietà rispetto a tanti altri attori e attrici che invece sono professionalmente più preparati, ma ahimè restano a spasso».
E secondo te Pierfrancesca, è semplice diventare avvocato? 
Pierfrancesca: «No, assolutamente, se si considera che già il percorso di studi è di per sé lungo e abbastanza impegnativo; a ciò si aggiunge il fatto che siamo in tanti, per cui bisogna essere sempre più competitivi degli altri».
Hai dei punti di riferimento, degli idoli?
Pierfrancesca: «Sì, ne avrei uno: mia mamma!». (Sorride, NdR.)                                                                       Giovanni: «No, idoli non ne ho mai avuti; ma punti di riferimento sì, mi riferisco a tutti gli attori che sia sul palcoscenico che sullo schermo riescono a emozionarmi e a convincermi sempre di più che questo è uno dei lavori più belli che si possa fare».
Esiste la meritocrazia nel tuo settore?
Giovanni: «Cosa significa? Non conosco il significato di questa parola. No, scherzo, la meritocrazia esiste, ma solo in alcuni ambiti e situazioni. Succede, la maggior parte delle volte, che quanti più soldi ci sono, meno attori validi lavorano. Ci sono delle imposizioni da parte delle produzioni, dei registi, delle reti e purtroppo, accade sempre più spesso che i produttori preferiscano non investire in attività professionali precise, ma che non portano soldi e, di investire e quindi di guadagnare, in abilità scarse e mediocri, ma che portano più successo».                                                                                                                    
Pierfrancesca: «Sì, l’impegno viene riconosciuto, non sempre, ma succede». 
Perché i giovani incontrano così enormi difficoltà a emergere nella propria professione? 
Pierfrancesca: «La prima difficoltà di inserimento nel mondo del lavoro che mi viene in mente, è la situazione bloccata dei concorsi pubblici; sono tutti bloccati e ciò impedisce il ricambio generazionale che sarebbe indispensabile».                                                                                                                             Giovanni: «Secondo me non si dà più valore alle competenze vere; nel mio lavoro conta molto per esempio, quanti biglietti riesci a far strappare al cinema o quanto sei conosciuto, visto che se non fai cinema, non sei abbastanza famoso. Conta molto quanta gente riesci a portare al teatro, o se hai degli agganci politici e soprattutto bisogna avere tanti soldi. Lo dico ufficialmente: per fare l’attore bisogna avere molti soldi, un capitale!».
Conta la gerarchia nel tuo settore?
Pierfrancesca: «Poco. Nel mio settore quando si raggiunge l’autonomia professionale, si ha la stessa  possibilità degli altri per poter emergere».                                                                                                      
 Giovanni: «Il mio concetto di gerarchia non è negativo. Dal punto di vista organizzativo  deve esserci; per esempio nell’allestimento di uno spettacolo, se non ci fosse la gerarchia non si potrebbe andare in scena. E’ vero anche che, quel fantomatico rapporto di collaborazione  tra l’attore e il regista, spesso è un’utopia. Io sono stato fortunato in questo, ma quelle volte che non mi è capitato, ho avvertito un’imposizione da parte del regista».
L’Italia è un bel Paese?
Pierfrancesca: «Direi che è un Paese particolare».                                                                                        
Giovanni: «Certo, da visitare. E’ un Paese che sento sempre più stretto, con una mentalità alquanto provinciale, legata al concetto “tengo tutto io e a te non do nulla” e soprattutto, è ancora troppo schiacciata dall’influenza Vaticana».
Come definiresti il periodo che stiamo vivendo?
Giovanni: «Schifoso».                                                                                                               
Pierfrancesca: «Bloccato, fermo, di stallo totale in cui si può solamente riflettere. Nonostante ci siano tantissimi giovani ricchi di idee, che sarebbero pronti a scendere in campo per  cooperare per il bene comune, non viene data loro questa possibilità».
 
Se potessi eliminare qualcuno chi sarebbe? Chi piuttosto lasceresti?
Giovanni: «Ci sono tre categorie che eliminerei: chi fa laboratori teatrali senza senso, scevro di ogni qualità e competenza spillando un sacco di soldi e vendendo fumo. Chi in maniera presuntuosa, pensa di fare questo lavoro, senza avere un minimo di attitudine, talento e predisposizione, ritenendo che si possa fare senza studiare, senza  disciplina alcuna. Infine tutti coloro che fanno ancora delle differenze, tra chi segue un certo tipo di scuola e attori che seguono un altro tipo. Salverei chi svolge questa professione con la giusta umiltà e passione, con l’intento di contribuire alla diffusione della cultura, unico antidoto contro l’ignoranza, la peggiore malattia dell’essere umano».
Da cosa si riconosce quando siete arrabbiati? 
Giovanni: «Totale silenzio».                                                                                                                
 Pierfrancesca: «Anche per me, rimango in silenzio».
Come vi sentite ora? Che sensazioni provate in questo periodo così difficile?
Pierfrancesca: «Sono molto serena e fiduciosa verso il futuro; ho tantissime aspettative e idee da voler mettere in atto».                                                                                                                                                        Giovanni: «Mi sento molto fiducioso, perché so che da i periodi di crisi ci si riprende più forti di prima, quindi so che possiamo farcela».
 


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