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Qui e ora/ L'insostenibile peso delle aspettative

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

22
FEB
2017

Suicida a quindici anni perchè fumava spinelli. Quello strano modo di “salvare” Giovanni, si è rivelato il peggiore degli insuccessi di un genitore


“Un pensiero particolare va alla Guardia di Finanza. Grazie per aver ascoltato l’urlo di disperazione di una madre che non poteva accettare di vedere suo figlio perdersi”. Questo è un estratto del discorso che una madre di Lavagna ha deciso di pronunciare durante le esequie di suo figlio morto suicida a quindici anni.
Leggendo il contenuto di questo passo rivolto a una vita di poco più di 5000 giorni di cui 1000 passati ad imparare a riconoscere il mondo, accennare i primi passi e le prime parole, si può pensare che Giovanni, così si chiamava il giovane suicida, abbia trascorso il suo breve tempo a perpetrare una lunga sequenza di crimini.
L’imprevedibilità della natura umana e l’ambiente dove un individuo si sviluppa, sono fondamentali per l’evoluzione della sua vita futura così come per i seguiti che essa può assumere. Le piccole prostitute dei quartieri degradati del Brasile, della Tailandia e dell’India, i bambini-soldato impiegati nei conflitti disseminati nel mondo, i giovani spacciatori a servizio dei cartelli malavitosi, ne sono un esempio. Eppure, nemmeno in un ambito profondamente degradato si ha certezza che si compia il binomio fra infanzia e delinquenza minorile. Al contrario, la tragica vicenda di Giovanni parrebbe uno di quei casi in cui il degrado sociale abbia prevalso così tanto sulla sua crescita, da portarlo a privarsi della vita piuttosto che viverla.
Con questa conclusione ci si approccia alla storia di Giovanni cercando la verità negli ambienti più logori di una piccola città della Liguria. In realtà si scopre che Lavagna, dove sono avvenuti i fatti, non presenta particolari emergenze sociali e che il ragazzo ne era assolutamente estraneo.
Giovanni studiava, giocava a calcio e viveva la vita di qualsiasi adolescente che, in un’età così fragile, deve districarsi fra la mutazione del proprio corpo, lo sviluppo mentale, le scelte di vita, l’interesse verso l’ignoto, la capacità di adeguarsi alla collocazione sociale. In un paese di circa tredicimila abitanti, così come in tutte le piccole comunità, il ruolo sociale è molto importante e mantenerlo, a qualsiasi costo, è fondamentale. Un “ragazzo di buona famiglia” deve adattare i suoi comportamenti affinché non minino lo status suo e quello familiare.
Il 13 febbraio scorso, una pattuglia della Guardia di Finanza si è recata presso una scuola di Lavagna per eseguire un controllo mirato alla repressione dello spaccio di stupefacenti. Un quindicenne, appunto Giovanni, all’atto della perquisizione, ha confessato di detenere una modesta quantità di hashish per uso personale. Il ragazzo ha offerto immediata collaborazione agli agenti che, nelle ore successive, si sono recati presso la sua abitazione dove, alla presenza della madre e del suo compagno, hanno eseguito un ulteriore controllo. In questo contesto, Giovanni, che era seduto a osservare la scena, si è avvicinato a una finestra della sua abitazione, al terzo piano di uno stabile di Piazza Torino, e dopo averla aperta, si è lanciato nel vuoto. Dopo i primi tentativi di soccorso, il giovane è morto durante il trasporto in ambulanza. Su quest’adolescente è pesata una responsabilità troppo onerosa proprio nell’età in cui si ha maggiore bisogno di sostegno familiare e sociale, d’interminabili dosi di autostima e di tanto amore incondizionato.
E’ solo durante i funerali del giovane suicida che è emersa la realtà in tutta la sua pienezza. Quest’assurda disgrazia è l’esito di una scelta estrema quanto discutibile: Antonella, la madre del ragazzo, ha chiesto il contributo dei finanzieri nel tentativo di dissuadere suo figlio Giovanni, dall’uso di sostanze stupefacenti. Durante il funerale, davanti a una folla di oltre duemila persone, lei ha dichiarato: “avevo provato con ogni mezzo di combattere la guerra contro la dipendenza prima che fosse troppo tardi” e ancora, rivolta ai giovani amici della vittima: “c’è qualcuno che invece vuole soffocarvi, facendovi credere che sia normale fumare una canna, normale farlo fino a sballarsi, normale andare sempre oltre”. La sua certezza l’ha indotta a recarsi presso il comando della Guardia di Finanza e chiedere l’intervento degli agenti, considerando Giovanni privo di ogni volontà tanto da divenire dipendente senza speranza. Antonella si è comportata come nelle novelle degli anni ’50 dove le brave mogli si rivolgevano al maresciallo dei Carabinieri per dissuadere i mariti a giocare a carte, frequentare le prostitute e ubriacarsi. Il suo convincimento e la sua perseveranza hanno, perfino, sortito un esito: il comandante provinciale della Guardia di Finanza, accogliendo la pressante richiesta della donna, ha organizzato l’operazione. Purtroppo, ha scordando che i suoi agenti non sono sempre formati all’intervento verso i minori e svolgono solo il loro dovere. Ha, inoltre,  omesso di richiedere un parere preventivo al tribunale per i minorenni. Perché Giovanni aveva quindici anni, era privo di precedenti penali ed era in possesso di modeste quantità di una leggera sostanza stupefacente per uso personale. In questi casi, infatti, è prevista una semplice segnalazione, è esclusa la perquisizione e deve essere usato il massimo tatto durante l’azione di polizia, da eseguire in affiancamento al personale specializzato nel trattamento dei minorenni. Ma questo a Giovanni non l’ha detto nessuno e tutti hanno pensato di agire in buona fede e con i migliori intenti. Evidentemente, nessuno ha riflettuto sulla ricaduta che avrebbe avuto sulla fragile mente di un adolescente che, di fatto, non ha retto a questa emozione.
Il dramma, quindi, nasce dalla scoperta che Giovanni faceva uso di hashish. Eppure, le nazioni che hanno liberalizzato l’uso delle droghe leggere hanno ottenuto una notevole riduzione dei consumi di sostanze che, non essendo più proibite, riscuotono minore interesse proprio fra gli adolescenti, senza che vi sia stato l’incremento d’uso delle droghe pesanti, hanno riportato eccellenti risultati nella lotta alla criminalità organizzata connessa allo spaccio degli stupefacenti e hanno abbattuto l’altissimo costo che determina il proibizionismo a favore delle campagne di sensibilizzazione. Così come abbiamo dichiarato nel numero 32 del 2016 di Extra, ribadiamo l’assoluta inutilità del proibizionismo per le droghe leggere a fronte della diffusione quasi incontrollata di alcol e tabacco.
Gli insegnamenti sulla vita, la costruzione dell’identità, la capacità di relazionarsi socialmente, sono contenuti che sortiscono i migliori risultati se dispensati nella vita preadolescenziale, proprio perché assimilati con naturalezza durante un lasso temporale sufficientemente utile per verificare e correggere eventuali emergenze. Con il giusto metodo, è legittimo fornire ai bambini la consapevolezza delle proprie azioni, così come lo è dotarli della cognizione sull’uso e l’abuso di sostanze stupefacenti, di alcolici e di qualsiasi realtà della vita. E’ molto più fragile la psiche di un adolescente di quella di un bambino che, al contrario, ha una maggiore capacità di accettare e ragionare naturalmente. Quello strano modo di “salvare” Giovanni, si è rivelato il peggiore degli insuccessi di un genitore, specie se confrontato con l’età della vittima.
Un ragazzo di quindici anni ha il diritto di concentrarsi solo su pochi obiettivi: studiare per il proprio futuro, svolgere un’attività sportiva e divertirsi, sfruttando al massimo il corpo e la mente. Certo sarebbe meglio se un adolescente non fumasse, non assumesse sostanze stupefacenti e non abusasse di alcolici, così come sarebbe giusto che si alimentasse correttamente e vivesse in ambienti sani. Qualsiasi auspicio, però, potrebbe non coincidere con la realtà, cosicché un ragazzo potrebbe dover vivere nei pressi di uno stabilimento siderurgico, assumere, suo malgrado, alimenti pregni d’inquinanti e non eccellere nell’attività scolastica. Potrebbe anche fumare qualche canna che, nel confronto, non appare il male peggiore.
L’epilogo più sconcertante di questa vicenda risiede nell’ultima dichiarazione della mamma di Giovanni: “Ho passato un giorno intero a soppesare, a ponderare quelle parole. Non ne aggiungo una sola in più”, come se la sua fosse stata l’unica scelta possibile.

Foto: nostrofiglio.it



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