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LAVORO/ LA FESTA SENZA IL FESTEGGIATO

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

4
MAG
2017

Se numerevoli dati statistici in tema di occupazione confinano Taranto ai margini delle classifiche, c’è sicuro da riflettere sul senso e sulla opportunità di una festa che nelle intenzioni è stata voluta per ricordare alcune conquiste storiche dei lavoratori in tema di diritti sociali. Le amministrative siano una grande occasione di rilancio della città

La Festa del lavoro viene celebrata il 1º maggio di ogni anno in molti paesi del mondo e nasce per commemorare una serie di dure battaglie operaie, volte in particolare alla conquista di un diritto ben preciso: la riduzione della giornata lavorativa e l’introduzione di un limite all'orario di lavoro, poi fissato generalmente in otto ore. La scelta della data non fu certo casuale, ma si deve a un tragico episodio del maggio 1886 quando una manifestazione operaia a Chicago fu repressa nel sangue con esiti alquanto drammatici. A quel tempo, infatti, i lavoratori non avevano diritti, lavoravano anche sedici ore al giorno e in pessime condizioni: perciò portare l’orario massimo di lavoro quotidiano a otto ore fu davvero una conquista di civiltà.
Ben presto, però, la notizia superò i confini nazionali e divenne il simbolo delle rivendicazioni operaie. In Italia, dopo una breve parentesi fascista che abolì i festeggiamenti del primo maggio, a partire dal 1947 la festa del lavoro e dei lavoratori divenne ufficialmente festa nazionale.
Non c’è dubbio quanto questa, lo scorso anno, sia stata emotivamente “sentita” nella città di Taranto, sempre afflitta da quel maledetto dubbio amletico e sempre claudicante in quell’equilibrio precario tra difesa del diritto al lavoro e difesa del diritto alla salute. In un solo giorno, infatti, la città dei due mari si rese protagonista di un – condivisibile o meno – sussulto di dignità e si vide invasa da una vera e propria ondata di gente pronta a dire la propria mettendoci la faccia… o forse solo a sentire della buona musica.
Non è andata bene, invece, quest’anno. Pare che ospitare il cosiddetto “controconcertone” proprio un mese prima delle elezioni, secondo il comitato organizzatore dei Cittadini liberi e pensanti, avrebbe reso alto il rischio di una strumentalizzazione politica dello stesso (quand’anche già non ve ne fosse). C’ha provato anche il basso Salento ad approfittare del vuoto e rubare la scena a Taranto, ma farlo nei territori del futuro gasdotto avrebbe solo aumentato la tensione sociale e portato a possibili degenerazioni violente tra i manifestanti: così i comitati del Presidio No-Tap ci hanno fatto sapere che non se ne fa più nulla.
E allora forse meglio così, non tutti i mali vengono per nuocere. Chissà se il silenzio o l’elegante basso profilo suggerito dai sindacati jonici possa indurre le nostre coscienze a una più profonda riflessione sulla necessità attuale di festeggiare o meno “una festa senza il festeggiato”.
Un motivo di riflessione, nondimeno, ce lo da anche l’Osservatorio Statistico dei Consulenti del Lavoro all’interno della seconda edizione del rapporto “Le dinamiche del mercato del lavoro nelle province italiane”, reso pubblico proprio alcuni giorni fa durante un meeting nazionale.
L’Osservatorio, in particolare, ha aggiornato con i dati del 2016 la graduatoria delle province italiane che risultano essere più o meno efficienti nel favorire un’ampia partecipazione al mercato del lavoro, anche al fine di analizzarlo nelle diverse dimensioni.
In effetti, il quadro che emerge è davvero infelice per la città di Taranto, quasi sempre relegata dagli indici statistici in zona retrocessione per tutte le tipologie di classifiche.
Ebbene, secondo il rapporto, con 1.476 euro mensili è Bolzano la provincia che detiene il primato degli stipendi medi più alti fra gli occupati alle dipendenze nel 2016. Seguono Varese, Monza e Brianza, Como, Bologna e Lodi: tutte città con retribuzioni più alte rispetto alla media nazionale (1.315 euro) e tutte, guarda caso, città del Nord Italia. Di gran lunga sotto la media nazionale è, invece, la città dei delfini che si colloca alla 96ma posizione con una retribuzione media netta di soli 1153 euro mensili.
Bolzano è anche la provincia nella quale si registra il tasso di occupazione più elevato (72,7%), mentre quella con il tasso più basso è Reggio Calabria dove lavorano solo 37,1 persone su 100. Non sorprende che Taranto si arresta alla 89ma posizione con un tasso del 44,2%. Anche per quanto riguarda la differenza tra il tasso d’occupazione maschile e femminile (il “gender gap”) Taranto non se la passa bene e con la sua percentuale del 23,8% si attesta solo alla 93ma posizione (le ultime tre posizioni sono di Brindisi, Foggia e Bat rispettivamente alla 108, 109 e 110).
Proseguendo su questi dati, il rischio di passare per disfattisti è assai alto. Ma nell’epoca della flessibilità e della precarietà, urge allora ripensare a un nuovo senso del primo maggio e ricostruire le fondamenta di una società molto cambiata e molto più complessa rispetto al passato. Anche nel piccolo, occorre ripartire dai bisogni e dalla dignità dei tarantini, che a pochi giorni dalla chiamata alle urne hanno bisogno - specie su un tema così delicato come quello del lavoro - non certo di proclami vacui e ripetitivi, né di spot propagandistici o di volti noti alla più disparata ricerca di consensi elettorali, ma semplicemente di programmi concreti e mirati per tornare a crescere e sperare. E solo dopo avrà più senso festeggiare.



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