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STUDENTI ANSIOSI

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

10
MAG
2017

Da un’indagine condotta nei paesi OCSE, emerge che gli studenti italiani risultano i più ansiosi. Chiediamoci perché!

Il dato di cui si discute in questi giorni proviene dall’ultima indagine del PISA: programma internazionale di valutazione dell’allievo, avente lo scopo di restituire ai singoli stati OCSE delle informazioni utili alla messa in atto di politiche scolastiche migliorative.
Tale rapporto parla chiaro: gli studenti italiani – già notoriamente carenti in fatto di matematica, scienze e lettura – si collocano al primo posto solo per i livelli d’ansia scolastica, opportunamente misurati tramite questionari di autovalutazione.
Benché fenomeno ubiquitario (in media il 55% degli studenti dei paesi OCSE sostiene di soffrirne), l’ansia scolastica risulta particolarmente accentuata dalle nostre parti, dove il 70,2% degli studenti dichiara «di sentirsi molto ansioso anche quando ben preparato» e dove il 56,4% sostiene addirittura di «sentirsi teso quando studia» (PISA 2015).
Dall’indagine si evince, inoltre, come tale condizione, che purtroppo finisce coll’inficiare il rendimento scolastico, non derivi dal sovraccarico di prove, bensì dalla percezione soggettiva che di esse hanno gli studenti, affatto minacciosa quando si realizza un contesto ottimale di armoniosa collaborazione tra questi ultimi, gli insegnanti e i genitori.
Infatti, gli studenti che riportano livelli più alti di soddisfazione risultano proprio quelli che hanno instaurato una buona relazione con i loro docenti, improntata su modalità inclusive, accudenti e supportive. Quindi, si dichiarano meno ansiosi quelli che provengono da contesti in cui l’insegnante ha modo di fornire un maggiore sostegno individuale nei momenti di difficoltà.
D’altronde, ai fini di un buon adattamento scolastico, risulta oltremodo importante che l’interessamento da parte dei genitori e degli insegnanti mantenga sempre un equilibrio tale che l’incoraggiamento allo studio e al conseguimento di risultati non finisca per indurre una paura eccessiva del fallimento. Ne consegue che l’unica strada consista nel puntare sulla motivazione intrinseca, su quel naturale interesse per il mondo, che il buon insegnante sa intercettare ed incanalare verso proficue attività formative.
Quindi, una scuola meno frontale, più partecipativa, in cui il coinvolgimento avvenga sollecitando l’interesse e non imponendo un obbligo. Insomma, una scuola maggiormente orientata all’eccellenza, in cui l’apprendimento possa finalmente realizzarsi con naturalezza, al fine di formare cittadini più preparati, quindi più fiduciosi nelle proprie capacità. Perché il nostro adattamento complessivo, la tenuta economica della nazione richiede competenze che possano reggere la concorrenza internazionale. E queste si formano a scuola. Parola di OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico).
 



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