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La pace secondo Trump

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

14
DIC
2017

Anche se la maggior parte dell’opinione mondiale ha condannato le dichiarazioni del Presidente USA, le sue parole sono state sufficienti a distruggere l’azione diplomatica di decenni. E non crederete mica che la cosa non ci riguardi

Su queste pagine lo abbiamo scritto ripetutamente: le divisioni etniche, quelle religiose sono un costrutto generato dal pensiero politico deviato, dall’egemonia di potere e dalle ambizioni espansionistiche. I conflitti sono stati frequentemente originati da queste motivazioni e anche le cosiddette “guerre sante” raramente hanno avuto e hanno reali finalità religiose. Le stesse ideologie sono originate da interessi, che siano di natura personale o collettiva. Diviene evidente che il bisogno di una parte del popolo di prevaricare su l’altra, affinché divenga scontro, deve acquisire un consenso ampio, pertanto è difficile immaginare che uno o più uomini di potere possano convincere il popolo del bisogno di una guerra senza dover addurre motivazioni sufficientemente valide. Proprio perché le ragioni di un conflitto bellico sono concretamente insensate, specie se non nascono dal fallimento di un’ampia opera di diplomazia e mediazione, ne sono ricercate altre che catturino favorevolmente l’opinione pubblica. In tempi adeguatamente anticipati, con l’ampio uso della propaganda, s’insinuano accattivanti motivazioni contro il potenziale nemico tali da fare leva sulla popolazione, specie in quella scontenta e irata. È così che il diverso colore della pelle diviene causa d’inferiorità, una differente religione è la giusta opportunità per colpire, un pensiero sano ma differente è considerato eresia e, come tale, deve essere soffocato. Chi ha dimestichezza con la storia, quella oggettiva e imparziale, può analizzare diversi conflitti costatando che le guerre sono nate tutte da un pensiero politico deviato, dall’egemonia di potere e dalle ambizioni espansionistiche. Nel Mein Kampf di Adolf Hitler ritroviamo la sua idea di guerra quale espressione naturale e necessaria di una lotta in cui il vincitore, cioè la razza più forte, ha il diritto di dominare. L'unico scopo dello stato è mantenere sana e pura la razza e creare le condizioni migliori per la lotta finalizzata alla supremazia. La guerra, secondo la sua idea, è l'unica cosa che può dare un senso più nobile all'esistenza di un popolo. È evidente che un pensiero così folle trovava reali motivazioni soltanto in un bisogno personale di egemonia così come in quello espansionistico della Germania. Per rendere gli scopi attuabili attraverso il consenso del popolo, Hitler divulgò, appunto con l’ampio uso della propaganda, l’idea utile, sino all’esaltazione delle masse, nel concetto che la razza più creativa e valorosa era quella ariana o nordica, degna di dominare il mondo. A tal fine, ma al solo scopo di non doversi imbattere in veti religiosi, ricercò le sue ragioni anche nei miti nordici e nei relativi dei. Alla luce di quanto realmente accaduto, la Shoah è stata solo un pretesto, sanguinario e atroce, per raggiungere uno scopo. Quello che può apparire un esempio estremo non è così singolare. Credere che il fantomatico Stato Islamico agisca a soli fini religiosi, significa aver attecchito alla propaganda jihadista molto ben congegnata al solo fine di accrescere il potere d’individui come Abu Bakr al-Baghdadi. Anche in questo caso, la religione e le etnie non sono le reali ragioni del conflitto e il convincimento del popolo è operato tramite motivazioni parallele assolutamente false e tendenziose. Un esempio è la vistosa differenza fra l'ideologia dell’Isis e la dottrina islamica. L’efficace sistema di diffusione del pensiero falso, ha perfino influenzato i popoli occidentali tanto da divenire riluttanti verso l’Islam e le popolazioni mediorientali senza distinguerne le differenze. L’ingenuità e l’ignoranza diffuse sono il substrato ideale dell’odio. Più le popolazioni ignorano le realtà di un altro popolo, tanto è più facile condurle verso ragioni valide per odiarlo.
In questi contesti, l’intervento di altre nazioni si è spesso rivelato tutt’altro che favorevole alla mediazione ma tendente verso una delle parti. Così, anche il diffuso colonialismo del secolo scorso e quello precedente hanno generato, volutamente, conflitti interni ai territori occupati, proprio perché utili al controllo globale dell’occupante. È questo il caso della Palestina che, nonostante fosse stata conquistata dall’Impero Turco-Ottomano, riusciva a mantenere un equilibrio pacifico fra i vari popoli residenti, già presente ai tempi dell’Impero Bizantino. Lo scontro arabo-israeliano nasce proprio durante l’occupazione inglese di quei territori, all’inizio del ventesimo secolo. Il governo adottato dagli inglesi esacerbò i rapporti fra i nazionalisti palestinesi e il popolo ebraico generando contrasti. La successiva scoperta d’ingenti giacimenti petroliferi incrementò la presenza straniera. Lo scontro divenne ancora più aspro dopo il secondo conflitto mondiale quando l’Olocausto spinse gli ebrei sopravvissuti a raggiungere la “terra promessa”, costituendo lo Stato di Israele in territori dove la popolazione prevalente era araba. Mentre l’Impero Ottomano riusciva a garantire autonomia e pacifica convivenza fra le diverse popolazioni, la sua caduta, il notevole incremento di popolazione, la presenza coloniale, generarono lo scontro acceso fra sionisti e nazionalisti palestinesi. Da allora si sono susseguiti conflitti mirati all’attribuzione degli stessi territori allo Stato di Palestina e allo Stato di Israele. La guerra del 1948, la guerra di Suez del 1956, la guerra dei sei giorni del 1967, la guerra del Kippur del 1973 sono gli scontri più salienti fra due popoli la cui convivenza è divenuta sempre più difficile. Eppure le due popolazioni non si odiano così come i loro governanti vorrebbero. Se l’accoglienza è un dovere morale, l’occupazione è un crimine. La frangia più oltranzista degli israeliani è rappresentata dai coloni, ricci imprenditori, sostenitori della destra radicale, xenofobi, dotati di armamenti personali che invadono sistematicamente i territori abitati storicamente da palestinesi per realizzare i loro insediamenti in continua espansione. Nonostante tutto, la diplomazia e l’azione di mediatori internazionali sono riuscite a mantenere equilibri, anche se fragili e precari, affinché i due popoli potessero convivere nel reciproco rispetto. In questi ambiti così fragili, ogni provocazione può essere una minaccia ma solo pochi giorni fa il neopresidente degli Stati Uniti, Donald Trump, in una delle sue inconsulte esternazioni pubbliche, ha dichiarato che la capitale di Israele è Gerusalemme e che avrebbe trasferito lì anche l’ambasciata disconoscendo, di fatto, lo Stato di Palestina. Le reazioni sono state immediate: il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il presidente, Reuven Rivlin, hanno trovato conferma e appoggio alle loro azioni espansionistiche e alla loro causa. Il presidente palestinese, Abu Mazen, ha dichiarato che la decisione americana è una precisa dichiarazione di abbandono della mediazione di pace. Hamas, l’organizzazione paramilitare di resistenza islamica, ha decretato l’inizio degli scontri e la terza intifada. La questione palestinese ha diversi paradossi: un esercito israeliano, dotato di armamenti all’avanguardia, combatte un popolo pressoché inerme; la popolazione israeliana, composta fondamentalmente da discendenti delle vittime di una persecuzione si è trasformata in persecutrice; l’intervento di uno stato estero che invece di mediare per l’ottenimento della pace, istiga la guerra. Anche se la maggior parte dell’opinione mondiale ha condannato le dichiarazioni di Trump, le sue parole sono state sufficienti a distruggere l’azione diplomatica di decenni.
Per quanto possa essere contestato, Donald Trump è, però, il presidente degli Stati Uniti d’America e la sua convinzione, per quanto contorta, ha un notevole peso nella politica mondiale. Trump continua a perseguire un preciso progetto di prevaricazione. Evidentemente non è così difficile individuare similitudini fra l’attuale politica americana, israeliana e quella descritta nel Mein Kampf.

 



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