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Immigrati/L´emergenza non è ancora finita

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

29
MAR
2013

 

L’Italia ha riconosciuto a tutti gli immigrati africani che circolano sul nostro territorio il “permesso umanitario”, abbandonandoli però al loro destino, senza favorirne l’integrazione sociale. Enzo Pilò, presidente dell’Associazione Babele, si fa portavoce del disagio di questi “invisibili”
 
Non è altro che la conseguenza del capitalismo, frutto delle multinazionali che quasi d’accordo tra loro si spartiscono le risorse del territorio, lasciando che gli abitanti muoiano non solo di fame, ma anche come vittime di guerre civili. Non è un’accusa la mia, ma semplicemente un’analisi dedotta da quella che è stata definita l’emergenza Nord Africa, conseguenza della Primavera Araba e della guerra in Libia. Per ventuno mesi il nostro Paese ha dovuto affrontare e gestire un’immigrazione copiosa di africani, scappati dalla loro terra con la speranza di integrarsi e lavorare in Italia. Molti hanno pensato di andare ancora più lontano, in Francia e in Germania, ma è ben noto che la prima ha posto il divieto e per la seconda, in base a quanto dispone la Direttiva di Dublino, l’immigrato africano in cerca di un “permesso umanitario” non può rimanere in territorio tedesco oltre tre mesi, a meno che non si sposi con persona autoctona o la sua figura professionale, quindi il lavoro che andrebbe o continuerebbe a svolgere, risulti dalle statistiche, necessaria in quel luogo; ma tutto ciò è facilmente immaginabile che non accada quasi mai. Per sapere come questa delicata faccenda sia stata gestita e risolta dall’Italia, adesso che l’emergenza Nord Africa sembra passata, sono andata a trovare Enzo Pilò, presidente dell’Associazione Babele, ente di tutela che a Taranto e in provincia si prende cura di tutti quei ragazzi africani, sbarcati circa due anni fa sul nostro territorio. Attualmente l’Associazione è ospitata dall’Archeo Tower.
Ci spieghi quali sono gli sviluppi dell’emergenza Nord Africa.
«Bisogna innanzitutto dividerla in due fasi: quella che ha visto l’arrivo dei ragazzi tunisini da dicembre 2010 ad aprile 2011 e la seconda fase, che coincide con la guerra in Libia; sono i protagonisti di quest’ultima  che sono stati ospitati dalle strutture in Italia, circa 23.000 in tutto il territorio, i tunisini sono pochi. Si tratta di ragazzi che in Libia lavoravano, ma provengono dall’Africa subsahariana, quindi Ciad, Somalia, Nigeria, Costa D’Avorio, che allo scoppio della guerra sono stati stretti tra due fuochi, dalle truppe di Gheddafi e da quelle anti Gheddafi. Le prime li imbarcava verso l’Italia, per ricattare in qualche modo il nostro Paese perché non partecipasse ai bombardamenti, le seconde, che oltre a essere mosse da sentimenti razzisti verso queste persone di pelle nera, li consideravano mercenari di Gheddafi e ne facevano carne da macello. Per un anno e mezzo questi ragazzi sono stati accolti nelle strutture preposte in Italia e a causa della caparbietà del Governo a non voler riconoscere lo stato di “permesso umanitario”, si sono create  una serie di problematiche non solo economiche (oltre un miliardo e mezzo di euro per l’accoglienza e per i lunghi procedimenti legali), ma soprattutto legate alle loro condizioni; sentendosi in un limbo, in attesa della regolarizzazione della loro posizione giuridica, non hanno avuto la forza di lasciare le strutture e cominciare un processo di integrazione sociale. Soltanto nel novembre 2012 il Governo si è finalmente deciso a riconoscere il “permesso umanitario” per tutti, determinando la fine dell’emergenza Nord Africa, ma anche il precipitare della loro condizione che li vede non solo senza un lavoro, ma anche senza una casa in cui dormire e lavarsi ».
L’associazione Babele di cosa si occupa esattamente e soprattutto, come sta affrontando adesso la situazione? 
«Per un anno e mezzo ci siamo occupati dei servizi obbligatori che la Regione Puglia aveva individuato, considerando che quando l’accoglienza era partita nelle strutture non era previsto nessun tipo di sostegno, né legale né materiale. Nell’agosto 2011 la Regione Puglia ha imposto alle strutture di accoglienza di concordare delle sottoscrizioni con enti di tutela riconosciuti dalla Regione stessa, l’Associazione Babele per esempio, che avrebbero dovuto svolgere corsi di alfabetizzazione di lingua italiana, di sostegno e di orientamento ai servizi sul territorio, ma soprattutto avrebbero dovuto fornire assistenza legale, in particolare per ottenere il permesso di soggiorno. Noi come associazione, abbiamo interpellato da subito gli enti locali e le Prefetture a trovare alla fine dell’Emergenza, una sistemazione almeno notturna a queste persone; li abbiamo avvisati sin dall’inizio che il territorio avrebbe dovuto gestire un grosso numero di persone  senza un lavoro e senza denaro per poter affittare una casa in cui vivere».
Quale ente o associazione vi ha aiutato ad affrontare l’emergenza?
«In particolare l’Archeo Tower, che ci ha dato la possibilità di aprire uno sportello per ospitare i ragazzi, dopo che l’Associazione ha chiuso le convenzioni a dicembre. Da settembre Arci, Libera, il commercio equosolidale, la palestra Moustaki e diverse parrocchie che ci forniscono gli alimenti. Adesso stiamo insistendo per ottenere un dormitorio permanente; temporaneamente stanno dormendo in una struttura concessa all’Abfo (associazione benefica che si occupa dei “senza tetto”), disponibile per soli tre mesi per l’emergenza freddo. Il Comune ci ha concesso di poter inserire anche i nostri ragazzi insieme agli altri “senza tetto” nel suddetto dormitorio, l’ex scuola Codignola alla Salinella».
La città di Taranto come li ha accolti? Quali difficoltà, oltre a quelle lavorative, hanno dovuto affrontare per integrarsi? 
«Taranto si divide in due, una parte è accogliente e solidale, l’altra purtroppo no. Spesso i ragazzi si trovano di fronte a un esplicito rifiuto di relazione, a volte risultano coinvolti in episodi di vero e proprio razzismo. In più loro si trovano, come tutti noi , calati in una situazione di crisi economica che non consente uno sbocco reale, un lavoro che li permetta di affrontare una vita normale, con la prerogativa che non hanno alle spalle una famiglia che faccia da ammortizzatore sociale, che li sostenga; quindi si trovano in una condizione esageratamente disagiata».
A livello istituzionale, Taranto come ha reagito?
«Nell’affrontare la situazione tutte le istituzioni non hanno avuto alcun ruolo, sarebbero dovute intervenire nella fase successiva, allo scadere dell’emergenza. Sostanzialmente non hanno fatto nulla, almeno fino a dopo la giornata di mobilitazione e di informazione sul territorio che abbiamo organizzato. Il Comune ha preso coscienza della problematica, ampliando il numero dei posti letto nel dormitorio alla Salinella e assumendosi l’impegno di realizzare una struttura permanente. Ad oggi non abbiamo nessun sentore che ciò stia concretizzandosi, ma sicuramente bisognerà tener conto che il 15 aprile l’ex scuola Codignola chiuderà e i ragazzi non potranno mica dormire per strada!».  


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