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L'intervista/"Perdono coloro che non mi sono stati vicino"

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

21
GIU
2018

Quella di Tiziana è una storia a lieto fine: colpita da una grave malattia ha combattuto fino a uscirne vincitrice. Non è stato facile però: oltre al male molto spesso in questi casi si soffre anche di solitudine. Il rimedio? Dedicarsi agli altri, come ha fatto lei

Tiziana Bari, conosciuta con il nickname di Angela Angelica Biondo, è una donna che ha dovuto combattere da sola contro un brutto male. La sua storia è ricca di coraggio, determinazione, speranza e aiuto verso il prossimo. Grazie al suo spirito battagliero, oggi è completamente guarita ed è sempre pronta a sostenere tutti coloro che non hanno ancora ottenuto lo stesso traguardo. Noi di “Extra Magazine” l’abbiamo intervistata.

Raccontaci del problema che purtroppo ti ha colpito e come hai affrontato la situazione
“Tre anni e mezzo fa mi sono sentita male all’improvviso, ho iniziato ad avere sensazioni strane e il mio corpo ha iniziato a cambiare. Mi sono sottoposta ai dovuti controlli e in maniera diretta il professore mi ha diagnosticato una leucemia abbastanza importante. Quando mi ha riferito il problema ho risposto con un grande sorriso perché sono una ragazza molto forte. Ho anche risposto ai medici in maniera simpatica che avrei indossato questo vestito stretto".

E poi?
"Sono comunque iniziati anni difficili e la prima cosa importante da fare era dirlo alle persone che in quel momento della mia vita mi erano vicine. La preoccupazione maggiore era la persona che in quel momento amavo: sono cominciate chemio, trasfusioni, controlli del caso. Andavo e tornavo dall’ospedale e nel corso del tempo diventavo forte perché mi piegavo, ma non mi spezzavo mai e rispondevo che stavo sempre benino. Non ho mai detto di stare male nonostante a volte il mondo sembrava cadermi addosso. Il vestito stretto - la malattia - era un fantasma che cresceva nel tempo, non lo puoi capire se non lo hai mai provato sulla tua pelle. La mia famiglia non era in grado di aiutarmi e ho quindi affrontato da sola il problema, chi mi stava vicino non mi ha sostenuto e sono entrata in uno stato depressivo che mi ha portato anche a tentare il suicidio. Volevo morire senza aspettare il decorso della malattia. Poi c’è stato uno scossone, ho fatto un sogno importante, è arrivato il mio credo e mi sono recata in chiesa".

Cosa ti ha spinto ad andare avanti?
"Ho deciso di guarire perché laddove Tiziana non era riconosciuta perché avevo sempre il nickname Angela Angelica Biondo, parlare della malattia non sarebbe servito solo a me, ma sarei stata una testimonianza importante per coloro che soffrono e anche per coloro che purtroppo non ci sono più. Ho scritto un libro dove parlo della malattia con simpatia e allegria, poi col dovuto tempo e dopo il primo trapianto di midollo ho sperato che si avvicinasse colui che non era più al mio fianco, ma ciò non è accaduto e ho avuto il secondo crollo al secondo trapianto. Non credevo di poter mai pensare di arrivare all’idea del suicidio, ma quando sei sotto chemio e trasfusioni ti senti sola, hai bisogno di parlare con qualcuno e non c’era invece nessuno. Non ho mai capito perché abbiano deciso di non aiutarmi, ma ho avuto una risposta dalla fede e da Dio".

Quale?
"Avrei dovuto fare un percorso per aiutare le persone che avevano sofferto come me. Mi sono quindi impegnata per diventare un operatore socio-sanitario specializzato e sono in prima linea verso l’ammalato occupandomi del sociale. Quando qualcuno non può permettersi assistenza, mi offro con grande cuore e intensità perché la solitudine non deve mai colpire nessun individuo. Ho sempre avuto come priorità di vita l’altruismo, ciò che non c’è stato nei miei confronti. In seguito ho fatto una promessa: diventare una fotografa per passione perché volevo vedere il mondo con gli occhi del malato. Poi è diventato un mio personale modo di vedere, attraverso la foto parlo dei momenti di vita dell’ammalato. Tra le mie braccia a oggi sono morte circa 35 anime accudite con amore”.

Quale messaggio ti senti di inviare a coloro che ancora stanno combattendo una malattia?
“Il messaggio lo invio non solo a chi è malato, ma anche a coloro che stanno bene. Occorre vivere la vita con semplicità, godendosi ogni minimo aspetto quotidiano. Poi vorrei dire che l’ammalato non ha bisogno di pietà, ma di verità e della presenza di amici veri. Il malato ha semplicemente voglia di ricevere dei sorrisi, delle battute, una carezza. Ai cosiddetti “braccialetti rossi”: li invito a trovare il coraggio anche se ci sono dei giorni in cui ti senti davvero stanca. Spesso in quei brutti momenti ce la prendiamo con Dio, ma mi sono resa conto che c’è la regola del centuplo: oggi ti toglie venti, ma magari domani te lo centuplica. Solo avendo la necessaria forza riesci a combattere e superare i momenti di cedimento. Inoltre, bisogna avvicinarsi a persone e strutture giuste perché non bisogna mai essere lasciati soli. E’ una battaglia non contro le istituzioni, ma contro la morte perché abbiamo il diritto di vivere. L’aiuto maggiore personalmente l’ho avuto da tutta l’equipe medica, dall’ausiliario al primario che sono diventati la mia famiglia e tuttora mi sento con loro. Concludo con un concetto: nonostante ci sia stato menefreghismo al di fuori dell’ospedale, il mio messaggio ulteriore è perdona se un domani vuoi essere perdonato”.



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