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L'intervista/Alessandro Marescotti: "Guardate cosa succede nelle altri roccaforti ArcelorMittal"

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

30
AGO
2018

Il fondatore di Peacelink spiega quali potrebbero essere i possibili scenari con la più grande multinazionale dell'acciaio a capo dell'Ilva. Di certo, sia sul fronte occupazionale che ambientale, non si intravede nulla di buono

Quello dell’Ilva non è soltanto un problema di carattere ambientale e occupazionale, ma anche di carattere economico perché il flusso di denaro che viene movimentato annualmente intorno alla produzione italiana dell’acciaio influisce in maniera determinante sul Pil nazionale.
Negli ultimi tempi non c’è giorno in cui la Tv nazionale non dedichi uno spazio adeguato alle varie problematiche attuali che hanno reso incandescente il dibattito tra il Governo, il temporaneo vincitore della compravendita dell’Ilva, ArcelorMittal, i sindacati, i lavoratori e gli ambientalisti.
Come se non bastassero tutti questi problemi, ecco che negli ultimi tempi si è affacciata l’ipotesi che la compravendita fatta dal Governo in favore di Mittal possa non essere ritenuta in regola, e per questo motivo, il vice presidente del Consiglio dei Ministri, Luigi Di Maio, ha chiesto il parere dell’Avvocatura dello Stato sulla regolarità della gara.
Altro problema che incombe come una spada di Damocle sul futuro dei lavoratori dell’Ilva di Taranto è la scadenza del prossimo 15 settembre, quando i commissari che oggi gestiscono l’Ilva del capoluogo ionico dovranno essere messi da parte e da su più fronti si paventa il rischio che non ci possa essere denaro disponibile per far fronte alle retribuzioni del personale del quarto centro siderurgico italiano.
Tutti questi problemi interessano certamente i cittadini tarantini, ma quello che particolarmente sta a cuore è l’aspetto ambientale. Per questo motivo sono sorte numerose associazioni ambientaliste sul territorio e il Comune del capoluogo ionico, da parte sua, ha già progettato la realizzazione di una foresta urbana al Quartiere Tamburi, quello più a ridosso dell’Ilva, per attutire l’impatto con l’inquinamento ambientale.
E’ stato sperimentato negli ultimi anni il wind day, una disposizione per la chiusura delle scuole quando forte soffia il vento sui parchi minerali dell’Ilva, ma il provvedimento si estende a tutti gli abitanti del popoloso quartiere che in quei giorni, in particolare, sono costretti a tenere chiuse le finestre per evitare danni all’ambiente, ma soprattutto alla loro salute.
Negli ultimi tempi c’è stato qualcuno che ha rispolverato un'antica proposta con relativo progetto con il quale si ipotizzava addirittura la “chiusura” dell’intero quartiere Tamburi alla cittadinanza con il trasferimento di tutta la popolazione residente in un altro punto della città.
Come si vede sono problematiche delicate per le quali non si possono trovare più soluzioni-tampone ma è necessaria una strategia finalizzata a evitare la perdita di lavoro per i dipendenti attualmente in forza all’Ilva di Taranto ma, soprattutto, per bloccare la “tempesta” dei tumori che si è abbattuta sull’intero capoluogo ionico e che fino a oggi è stata pagata con un pesante tributo di vite umane spente e, fra queste, ciò che fa rabbia su tutte è la morte di numerosi bambini ai quali di fatto è stato negato il diritto sacrosanto alla vita.
Per fare il punto della situazione attuale abbiamo incontrato nei giorni scorsi il prof. Alessandro Marescotti, fondatore di Peacelink e grande e battagliero sostenitore di una città che possa liberarsi di questa struttura industriale ormai da tutti definita come “mostro” che incombe sulla città in maniera spietata.

Prof. Marescotti, fra Ilva e ArcelorMittal ci sarà matrimonio o divorzio?
“ArcelorMittal è la più grande multinazionale dell’acciaio, la prima al mondo nel settore siderurgico. Punta a tagliare migliaia di lavoratori per riportare il bilancio dell’Ilva in pareggio. Ha vinto la gara indetta dal ministro dello Sviluppo Economico Calenda, del precedente Governo. Ora il ministro Luigi Di Maio sta fronteggiando una situazione sempre più complessa e ingarbugliata da cui non è ancora ben chiaro come ne usciremo. Ma una cosa è certa: ArcelorMittal non è minimamente intenzionata a rinunciare ai licenziamenti preventivati”.

Quali sino i numeri della produttività nell’Ilva?
“Nei suoi incontri con i sindacati in un primo tempo il colosso industriale aveva parlato di 4.800 esuberi che sarebbero saliti a 5.800 nel 2023. Nelle trattative la multinazionale è scesa a 4 mila. Ma la situazione è molto tesa e delicata in quanto ArcelorMittal vuole adottare gli standard di produttività della sua acciaieria a Gent in Belgio dove attualmente si produce più acciaio con la metà dei lavoratori di Taranto. Per la precisione si producono 6,6 milioni di tonnellate/anno con 5.800 dipendenti, mentre a Taranto si producono 4,8 milioni di tonnellate/anno con 11.000 dipendenti (di cui 2.400 in cassa integrazione).
Come si vede la produttività di ArcelorMittal è nettamente superiore a Gent e questo spiega perché sarà irremovibile nel non concedere nulla ai sindacati in termini di garanzie per occupazione. Si prevede pertanto o una rottura definitiva delle trattative sindacali o una “Caporetto” di Cgil, Cisl e Uil, con l’accettazione dei licenziamenti ‘obtorto collo’.
I numeri parlano chiaro. I dati di bilancio dell’Ilva, tenuti in questi ultimi anni segreti, sono ora stati resi pubblici dai commissari ed ecco cosa emerge per il 2017: costo del lavoro 580 milioni di euro e perdite complessive di 269 milioni di euro”.

Perché sono importanti questi due dati?
“Perché le perdite dell’Ilva ammontano al 46% del costo del lavoro. Se si portassero i lavoratori da 11.000 a 5.940 (ossia -46%) l’Ilva di Taranto andrebbe in pareggio. Tenendo conto che lo stabilimento di Mittal a Gent è di 5.800 dipendenti (meno dell’Ilva di Taranto) è chiarissimo qual è il piano della multinazionale che ha vinto la gara. Il piano è quello di dare una grande sforbiciata occupazionale”.

Da ciò che lei ci riferisce si evidenzia massima incertezza. Ma è soltanto questo?
“In questo momento la situazione è al massimo dell’incertezza perché il ministro Luigi Di Maio non ha ancora scelto se consegnare, o no, le chiavi dell’Ilva ad ArcelorMittal.
Quello che tuttavia è opportuno sapere è che ArcelorMittal è un osso duro, è una multinazionale d’acciaio che, una volta preso il controllo dell’Ilva, sarà difficile da controllare”.

Potrebbero ritornare i tempi dei Riva? Ritornerà la presenza di un potere forte nel cuore della città?
”Una cosa è sicura: rispetto al tempo dei Riva la Magistratura avrà le mani legate per via dell’immunità penale concessa dal governo Renzi a chi gestisce l’Ilva. ArcelorMittal dichiara di volere un rapporto positivo con le comunità locali basato sulla trasparenza e sull’implementazione di misure di tutela ambientale, anche grazie alla realizzazione di un Centro di Ricerca che studierà “nuove tecniche produttive a minore impatto ambientale”.

Ci risulta che l’impegno di Mittal si estende anche in Bosnia, nel Sud Africa, in Canada, Pennsylvania, Ucraina, Kazakistan ed Hamilton. Qual è la situazione lì?
“Zenica, che ricade in Bosnia, è un territorio inquinato, per questo motivo tra il 2014 e il 2015 sono state condotte della analisi per verificare la presenza di diossine e PCB nelle uova della Bosnia, del Montenegro e della Serbia. I valori di maggiore concentrazione di diossine (tre volte sopra i limiti europei) sono stati riscontrati nelle uova di Zenica. In questa città - che ospita un’acciaieria di ArcelorMittal - vi è un impianto di sinterizzazione, che è una fonte emissiva industriale di diossina. Nelle uova i ricercatori hanno riscontrato 8,8 picogrammi di diossina per grammo di grasso (il limite è 2,5).
In altre realtà, come in Sud Africa la Suprema corte d’appello sudafricana, accogliendo il ricorso di un’organizzazione ambientalista, ha ribadito che 'non c’è spazio per il segreto' in materia ambientale”.

Quale lo stato di inquinamento nel Kazakistan, altra roccaforte di Mittal?
“L'inquinamento prodotto a Termitau è stato immortalato in foto di nubi rossastre talmente imponenti da sembrare finte, di fronte alle quali gli slopping dell’ILVA di Taranto impallidiscono. Hanno fatto il giro del mondo anche le immagini della neve nera del gennaio 2018”.

E’ capitato che ArcelorMittal sia stata multata in altre zone in cui opera?
“Sì. In Canada nel 2014 è stato multato per 390 mila dollari per inquinamento. I conflitti non sembrano sopirsi neppure nella città di Hamilton, per molto tempo portata dalla Cisl ad esempio di buone pratiche ambientali. Il 22 gennaio 2018 l’acciaieria ha ricevuto una multa di oltre 162.000 dollari per aver scaricato contaminanti da un altoforno, come scrive il Global News”.

A margine di quanto è emerso fino a questo momento, quale è la risposta che la multinazionale guidata da Mittal sta fornendo a tutti i soggetti, compresi sindacati ed associazioni ambientaliste?
“La multinazionale sta rispondendo a tutto ciò con una massiccia campagna di informazione sulla propria responsabilità sociale e dichiara che “l’azienda si impegna concretamente nel limitare l’impatto ambientale dei propri siti produttivi”. Sarà così?”.

Come valuta la conferenza stampa di Di Maio del 23 agosto sull'ILVA?
“Sono rimasto molto deluso. Da quello che il ministro Di Maio ha detto sembra che dal 15 settembre Arcelor Mittal prenderà possesso degli impianti, senza più alcuna proroga. L'obiettivo del ministro è ovviamentequello di fare polemica con il governo precedente. Ma è una polemica che non mi appassiona. Invece il suo obiettivo principale dovrebbe essere quello di fermare gli impianti inquinanti in quanto non sono a norma. Sono impianti ritenuti pericolosi dalla stessa magistratura e pertanto ancora sotto sequestro preventivo, non dimentichiamocelo. Il governo potrebbe fermare l'ILVA annullando gli effetti del DPCM 29/9/2017 che garantisce l'immunità penale fino al 2023 e che sana la situazione degli impianti, che in buona parte dell'area a caldo non sono a norma".

Fin qui le risposte del prof. Marescotti e le sue “preziose” informazioni su ArcelorMittal e il mondo dell’acciaio.
Virtualmente è come se avessimo fatto un viaggio a macchia di leopardo in alcune fra le situazioni più critiche oggi gestite nel mondo dalla multinazionale dell’acciaio.
Se per un verso tutto ciò ci preoccupa e ci fa dire che i problemi dell’acciaio non sono presenti soltanto a Taranto, ci preoccupa non poco la risposta che Mittal fornisce sui numeri della produttività di Taranto e di quelli della sua acciaieria a Gent, in Belgio.
Insomma, a conclusione di questo servizio, ritorna l’eterna ma realistica domanda di ogni cittadino di terra ionica: ma, a Taranto, si potrebbe produrre acciaio non inquinante? La risposta la dovrebbero avere gli esperti del settore e i ricercatori nei quali tutti noi riponiamo la massima fiducia e attenzione.
Nell’attesa, intanto, plaudiamo all’attivismo che contraddistingue Peacelink e tutte le associazioni ambientaliste del nostro territorio.
Per un istante, chiudendo gli occhi, facciamo una sintesi di tutto ciò che di buono è emerso dall’interessante conversazione e ci chiediamo quali saranno le prossime scelte del Governo che - nel momento in cui scriviamo - non ha ancora dichiarato quali saranno le soluzioni ad un problema sempre più complicato e difficile da risolvere.

 



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