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Che tristezza le cene degli esclusi

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

20
SET
2018

Berlusconi e gli irrilevanti di sinistra hanno in comune l'incapacità di incidere nelle istituzioni (nemmeno facendo un’opposizione degna di questo nome) e perché ancora non hanno capito le motivazioni della loro disfatta

Sembra che ormai gli irrilevanti della politica italiana si vedano a cena in una sorta di reality culinario fatto apposta per strappare qualche titolo sui giornali e per non finire quindi definitivamente nel cono d’ombra.
Calenda invita a cena i maggiorenti del PD e Berlusconi invita Salvini (l’unico che ancora conta) a Villa San Martino. Qual è il filo conduttore che unisce tutti questi attovagliamenti?
Intanto la differenza è che Salvini a cena ad Arcore ci è andato sul serio a fare compagnia a nonno Silvio dandogli per una sera l’illusione di essere ancora utile alla causa del centrodestra. I commensali di Calenda invece hanno cominciato a litigare a mezzo stampa a tal punto da spingere il padrone di casa ad annullare l’incontro dichiarando che il PD merita l’estinzione.
In secondo luogo, mentre a sinistra volano gli stracci, il centrodestra tiene nonostante le proporzioni in campo siano cambiate tanto che sulle Regionali e sulla Rai si sta mettendo a punto una strategia comune.
Certo, Salvini entra ed esce manco fosse un albergo a ore ma comunque le posizioni all’interno del centrodestra sembrano più conciliabili rispetto alla guerriglia che si consuma a sinistra dentro e fuori dal PD: prendi quattro saccenti boriosi radical chic, chiudili in una stanza vuota e dopo una settimana troverai comunque solo brandelli nonostante non ci sia oggetto del contendere.
Ma le “cene degli esclusi” hanno anche qualche punto in comune: gli irrilevanti si vedono a cena perché non possono fare altrimenti, perché non riescono a incidere nelle istituzioni (nemmeno facendo un’opposizione degna di questo nome) e perché ancora non hanno capito le motivazioni della loro disfatta.
Da una parte c’è Berlusconi, l’unto del Signore, il meglio fico del bigonzo, il più bravo di tutti a fiutare i desiderata dei cittadini prima che essi stessi se ne rendano conto, il quale non riesce a farsi capace di essere elettoralmente diventato un pantalone a zampa di elefante in un negozio per adolescenti, una canzone di Nicola Di Bari a un concerto rap.
Gli elettori non di sinistra (il 60%) si interrogano sulla sovranità, sull’Europa, sulla sicurezza delle città, sul degrado delle periferie, sulle tasse, sull’immigrazione mentre Silvio cerca l’applauso proponendo un modello di partito moderato, europeista, carismatico (ma senza carisma), leaderista (ma con leader precari e senza il quid come Tajani). Proprio lui che nel ’94 capì prima di Martinazzoli e Segni che lo stile democristiano era tramontato e che il modello americano avrebbe fatto breccia nelle intenzioni di voto. Proprio Berlusconi l’innovatore adesso recita la parte del reazionario decrepito, del conservatore antiquato in declino.
Ma mentre quello di Berlusconi è un legittimo appannamento dovuto allo scorrere del tempo, dall’altra parte della barricata c’è tutto un arcipelago che vede il mondo cambiare e le istanze mutare ma non si rassegna a prenderne atto usando anzi quel tono altezzosamente professorale tipico di chi pretenderebbe di indicare al mondo la strada da seguire e i bisogni da rivendicare.
E così, mentre il proletariato non ha più la tuta blu ma il colletto bianco, mentre il multiculturalismo viene messo in dubbio dai mille episodi occorsi dopo l’11 settembre 2001, mentre da più parti si comprende che la scommessa è quella di creare nuova ricchezza e non redistribuire pelosamente quello che c’è a guisa di elemosina, mentre quella sui diritti civili sta diventando più un fenomeno da baraccone che una battaglia vera e propria, loro non si rassegnano a dispensarci dai discorsi anacronistici da sessantottini nati vecchi.
E quando il trucco del richiamo alla Resistenza non funziona, quando la menata buonista e mondialista fa ridere i polli, quando lo spauracchio fascista pare teatro di rivista alla Macario, loro rilanciano come se fosse il mondo a viaggiare contromano (perdendo consensi tra le risate generali).
Rassegniamoci dunque a tenerci i vari Toninelli, Di Battista e Bonafede con annessa banda di buoni a nulla e capaci di tutto.
Ciò almeno fino a quando la vecchia politica non si sarà persuasa che osservare i mutamenti sociali prendendone atto sia infinitamente più utile di parlare della società che cambia senza averci mai guardato dentro ma comodamente seduti a cena.



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