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MY TWO CENTS/LA LOTTA ARMATA AL COMPUTER

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

27
SET
2018

Bisogna accettare l’idea che l’impegno politico debba cambiare scenario di azione: non solo nelle piazze o nei circoli ma anche online, che ci piaccia o meno

Vi fa alzare un po’ le sopracciglia, vero? E magari un pochino fa anche ridere, no? E invece, in un’epoca in cui il termine “leone da tastiera” è una delle offese più forti che si possano rivolgere a un uomo o a una donna, forse questo discorso va preso un attimino sul serio.
Qualche giorno fa parlavo con un amico del discutere di politica e società su Facebook. Chiunque abbia un account sul famoso social network si sarà accorto di quanto questi siano diventati tra gli argomenti principali su cui chiunque sente di dover fornire la propria opinione. Io per prima ovviamente, per la gioia dei miei contatti che ancora non hanno disattivato i miei aggiornamenti. Partiamo da un presupposto: ognuno con il suo account ci fa un po’ quello che gli pare. Ci sono gli utenti inoffensivi, quelli che amano condividere scintillanti “buongiornissimi” o che parlano solo attraverso citazioni più o meno discutibili; poi ci sono gli utenti potenzialmente pericolosi, come quelli che cercano di guadagnare qualcosa proponendo vite apparentemente fantastiche e beveroni dimagranti; infine ci sono quelli pericolosi davvero, quelli che “i poteri forti ci ammazzano con le scie chimiche”, “gli immigrati stanno negli hotel di lusso e io in un monolocale come Renato Pozzetto”, “mi ha detto mio cugino, quello laureato all’Università della Strada, che se vaccino mio figlio poi da grande rischia di diventare un radical chic”. Insomma: ce n’è per tutti i gusti e tutto pare concesso ma se parli di politica e società stai pur certo che da qualche parte c’è sempre qualcuno pronto a criticare. Le critiche più gettonate sono due: a) scrivi sermoni e sei presuntuoso b) non si parla di queste cose su Facebook. Non voglio soffermarmi sul punto “a” perché lascia davvero il tempo che trova. È del punto “b” che voglio parlare. È della convinzione che certi argomenti non si possano affrontare online, che siano ancora le strade e i circoli gli unici luoghi in cui si possono e si devono fare discorsi “alti”. Io voglio smontarla questa convinzione e poi ricomporla. E c’è un motivo.
Iniziamo a smontarla: movimenti e partiti con grande consenso popolare basano la propria politica esattamente sui social network. Dirette, storie su Instagram, raffiche di fotografie che descrivono ogni momento della giornata di un ministro, immagini grafiche realizzate in due secondi con programmini gratuiti per smartphone, post con emoticon. Insomma: i politici del 2018 sono degli influencer strapagati al pari di Chiara Ferragni, con la differenza che la Ferragni non ha potere decisionale sui permessi di soggiorno o sulle accise. Questo tipo di comunicazione virtuale ha decisamente la meglio su una comunicazione “vis-à-vis” di vecchio stampo. Basta ricordare la più recente colossale figuraccia di Matteo Salvini, che sul web ha fatto credere di essere stato accolto a Bari come i Beatles a Milano nel 1965 mentre in realtà ad aspettarlo c’era giusto una riunione di condominio. Eppure sul web, almeno fino allo smascheramento, è passata l’idea di un’ovazione popolare degna dell’ultimo ingresso di Totti in campo. Aggiungiamo al tutto, come lo zucchero a velo su una torta bruciacchiata, l’abitudine diffusa di bannare dalle pagine pubbliche gli utenti più scomodi - pratica in cui Salvini è sempre in pole position, seguito a sorpresa dai parlamentari pentastellati che dall’onestà sono passati alla censura in un battito di ciglia - e il piatto è pronto per essere gustato da gente di tutte le età. Quello che traspare da questa comunicazione così moderna è un consenso smisurato, ai limiti dell’idolatria, da parte del popolo italiano. Migliaia di nomi, cognomi e immagini del profilo si affrettano a dare sostegno al proprio eroe e ad attaccare in massa chi osa avere un’opinione diversa. Sono davvero migliaia. Praticamente un esercito. Un esercito obiettivamente più attivo sul web che in strada. Non credete, allora, che il campo di battaglia sia cambiato? Probabilmente è il caso di trasportare armi, bagagli, baracche, burattini, tamburelli e megafoni anche (e sottolineo “anche”) sul web. Bisogna accettare l’idea che attualmente l’impegno politico sia da spendere anche online, che ci piaccia o meno. Perché mentre noi ci diciamo quanto sia giusto e importante parlare con le persone in strada non ci rendiamo conto del fatto che le persone siano soprattutto sedute in piazze virtuali, dove il rischio è che sia totalmente assente un contraddittorio e che lo scontro sia perennemente dietro l’angolo. Ed è esattamente così che nasce l’idea di un partito perennemente in netto vantaggio, le cui idee sono universalmente accettate da tutti i votanti ed espresse con una violenza legittimata proprio dagli schermi che dividono le nostre esistenze e che probabilmente dal vivo incontreremmo raramente. È così che si diffondono a macchia d’olio le cosiddette “fake news”, se in questa enorme piazza fatta di ip e codici ci sono solo quelli che le diffondono e non quelli che le smentiscono. Non è forse ora di accettare questi cambiamenti e in un certo senso tentare di organizzarsi?

 



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