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QUI E ORA/COME COMBATTERE LA VIOLENZA SENZA USARLA

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

9
OTT
2018

Sempre più frequente strumento per imporre le proprie ragioni, la violenza, fisica ma soprattutto verbale, prende il posto del civile confronto. Eppure trovare nuovi equilibri sociali basati sul dialogo e sul rispetto si può e si deve

La violenza è un male e, come tale, deve essere combattuto fino alla sua totale eradicazione. Se la lotta alla violenza non è una delle principali priorità di una società che si considera evoluta, questa non sarà mai protagonista di un reale progresso. L’assunzione di questa consapevolezza è fondamentale per la strutturazione di qualsiasi azione di crescita. La violenza si manifesta in una moltitudine di modi e può scaturire per svariate cause differenti ascrivibili a motivazioni apparentemente razionali ma, più frequentemente, totalmente irrazionali. Non è possibile distinguere una violenza giusta da una sbagliata perché, a prescindere dalle motivazioni che la induce, la violenza genera sempre altra violenza. Perfino l’attuazione della nonviolenza come metodo di lotta, è una forma di condizionamento per chi la pratica. La violenza è originata da un istinto primordiale che ha affiancato l’uomo dalle sue origini. Rabbia e violenza, però, sono di poco regredite al crescere del processo evolutivo dell’uomo, tanto da restare quasi invariate nonostante lo sviluppo dell’intelletto, della cultura e dell’etica. La lotta alla violenza è consequenziale alla sua conoscenza e, nonostante possa apparire una distorsione, è necessario creare delle distinzioni anche di questo fenomeno palesemente dannoso. Per definizione, la violenza è un atto volontario, esercitato da una parte su un’altra, al fine di indurla ad agire contro la sua volontà. È un abuso e un controllo sugli altri in ogni forma si manifesti: fisica, sessuale, psicologica, a scopo economico, politico o religioso. La conoscenza delle cause che originano la violenza è altrettanto importante perché avendone cognizione, è possibile inibirle ponendo termine all’effetto. La prima, forse la più importante delle distinzioni avviene fra le cause di violenza dovuta a patologie psichiatriche e quelle originate scientemente come strumento per l’ottenimento di uno scopo. Sebbene l’effetto sia lo stesso, non è possibile equiparare una turpe alla pari di una scelta consapevole, anche se entrambe sono ugualmente un insuccesso delle società evolute. Anche nel processo penale, infatti, si attua questa distinzione per determinare le sorti, differenti, per chi si sia macchiato di crimini a sfondo violento a seguito di una patologia psichiatrica o per scelta. Sebbene sia difficile accettare il primo caso, lo è molto di più per l’uso conscio della violenza all’interno di una popolazione civile, quindi pacifica. Sembra, infatti, un paradosso verificare che, nel XXI secolo, la violenza esista e sia difficilmente annullabile. Le cause potrebbero risalire alla difficoltà di distinguere immediatamente alcune forme di violenza che, come per il male, ha contorni indefiniti e univocamente attribuibili. La violenza, infatti, non appare sempre tale. Come si devono considerate le azioni violente poste in atto dalle forze dell’ordine per far cessare un atto violento contro uno o più individui? È ugualmente condannabile l’uso della violenza per far cessare la violenza? Secondo il principio induista dell’Ahiṃsā la violenza si combatte con la nonviolenza ma culture differenti prevedono l’uso della violenza con finalità educative, correttive e punitive. Per quanto si possa ritenerlo sbagliato, sono realtà sociali che convivono. Lo stesso avviene in merito alla violenza sulle donne che, anche nelle società dove non è praticata la distinzione fra sessi, è un fenomeno in continua espansione in qualsiasi ambito sociale. Con essa, anche la violenza sessuale è perpetrata con lo scopo di prevaricare un proprio simile. Nella maggior parte dei casi, anche la violenza sessuale è attuata sulle donne, considerate inferiori e da sottomettere. Ciò che emerge è che la violenza è un fenomeno profondamente radicato in una cultura viziata da condizionamenti finalizzati. Il controllo del potere sugli uomini è, infatti, conseguente alla definizione di precise gerarchie. Alcune religioni o ideologie hanno favorito, ad esempio, la prevaricazione dell’uomo sulla donna, del ricco sul povero, del forte sul debole, ammettendo anche l’uso della violenza per mantenere integre queste condizioni. Sembra un principio evidentemente errato con il quale, però, conviviamo. Le stesse soluzioni per porre fine alla violenza, fanno ricorso alla violenza stessa. Non è una forma di violenza la castrazione materiale o chimica proposta per controllare o punire i violentatori? Perfino la carcerazione è una forma di violenza nei confronti di chi abbia attuato, a sua volta, una delle infinite forme di violenza. Sebbene non sia possibile definire forme di violenza buona o cattiva, è dunque, inevitabile adottare una precisa scala di valori entro i quali sia possibile comprendere quando la violenza inizi e smetta di essere considerata tale. Questo è uno dei punti cardine attorno al quale si sviluppa una reale società civile e la sua base etica è molto complessa. L’omicidio è l’espressione apicale della violenza eppure, in talune parti del mondo, la pena di morte è considerata lecita. Evidentemente, se la violenza è una componente perfino lecita dell’attuale società, l’evoluzione e la civiltà dell’uomo non lo sono ancora abbastanza. Le guerre ne sono una prova, eppure esistono e c’è chi ha il ruolo istituzionale di dichiararle. Peggiore della violenza è l’istigazione a compierla. C’è, infatti, chi diffonde deliberatamente segnali e messaggi finalizzati a rimuovere i freni inibitori di rabbia e violenza per poterne sfruttare i fautori tramite la divulgazione d’insinuazioni, calunnie e artefatti. Quello attuale è un periodo storico particolarmente intriso di violenza, dove ha un ruolo diffuso anche quella verbale, che diviene particolarmente efficace con l’inesauribile disponibilità dei mezzi di comunicazione indiretta. Storicamente, non è mai stato così semplice diffondere concetti violenti. Chi ambisce al controllo delle masse è capace di fare un uso scientifico della violenza verbale, raggiungendo i propri scopi nonostante causino elevati danni sociali. Praticare la violenza come stile di vita lascia prevalere l’istinto alla ragione, privando l’uomo della capacità di esprimersi, condizione che lo distingue dagli altri animali. Contemporaneamente si degrada la possibilità degli uomini di confrontarsi pacificamente, annullando lo sforzo profuso per millenni da qualsiasi civiltà evoluta. L’uso della violenza adottata con l’intento di raggiungere apici sociali individuali ed effimeri, distrugge, infatti, la ricerca del bene quale protezione dell’umanità. Alla luce di questa condizione, uno dei dilemmi che affligge la parte di popolazione pacifista e tollerante, è se sia ancora possibile sconfiggere la violenza senza doverne fare ricorso. A giudicare dalle continue notizie che riguardano vittime innocenti e inconsapevoli della violenza espressa in miriadi di modi differenti, appare davvero difficile combattere violenza, prevaricazione e odio con il solo impiego di pace, uguaglianza, amore, tolleranza e condivisione. Per colore che percorrono la fede, il rispetto e l’amore per vivere nella società, è sempre più improbabile resistere alle provocazioni di chi ne tenta la sottomissione mentre instilla odio nei propri sostenitori. Quanto ancora potrà resistere quella parte di popolazione che in nome della democrazia sta subendo violenze spacciate per libere opinioni? Sembra ormai palese il corso di un processo irreversibile attraverso il quale ristabilire nuovi equilibri sociali, equità, giustizia e uguaglianza, sarà imprescindibile dal ricorso alla violenza. Il Mahatma Gandhi, praticando la resistenza passiva, dichiarava che la violenza deriva dalla ricchezza senza lavoro, dal piacere senza coscienza, dalla conoscenza senza carattere, dal commercio senza etica, dalla scienza senza umanità, dal culto senza sacrificio, dalla politica senza principi. Come lui, rifuggivano dalla violenza Martin Luther King, Nelson Mandela, Marco Pannella, Aldo Capitini, David Henry Thoreau. Questo è ancora l’obiettivo di Aung San Suu Kyi. Coloro che oggi si reputano le nostre guide, sono distanti da loro anni luce.



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