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MY TWO CENTS/QUANDO RIESCO AD AFFERRARE IL PUPAZZO DENTRO ME

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

12
DIC
2018

Avete presente quel gioco al luna park che consiste nel prendere il premio con il gancio uncinato? Ecco, la sensazione di chi riesce a esprimere se stesso è molto simile: sarebbe bello che ce lo insegnassero fin da bambini

Sapete cosa sarebbe bello? Sarebbe bello vivere in un mondo in cui la timidezza non sia vista quasi come una colpa. Un mondo in cui essere un po' goffi non sia una cosa di cui vergognarsi. Ma non pensate ad un inquietante universo disneyano fatto di uccellini gioiosi e fiori che cantano. Parlo di un mondo normale, tranquillo, senza troppi mal di pancia da rimuginio per l'ingombrante presenza dei propri difetti. Ecco: sarebbe bello non sentire sempre il peso dei propri difetti. In verità sarebbe ancora più bello se questi non fossero considerati proprio difetti. Sapete anche cosa sarebbe bello? Se qualcuno, fuori dalle mura di casa, ti insegnasse a non avere mai timore di parlare. Un bel corso tipo “Taglio, cucito e istruzioni per una lotta armata alla timidezza” o "Espressione dei propri pensieri e delle proprie idee senza ansie gratuite". Mi sono resa conto di parlare spesso di corsi fantasiosi e inesistenti ma nessuno mi prende sul serio. Fin dalle scuole elementari ho desiderato che qualcuno mi insegnasse - o comunque mi aiutasse in qualche modo - ad esprimermi a voce alta senza andare nel pallone, incominciare a sudare e a desiderare che quella sorta di tortura psicologica finisse subito, anche a costo di rimanere incompresa e non ricevere nessun bel voto come premio. Nessuna stellina dorata sul cartellone dei giudizi, nessun “brava!” sottolineato più volte con una forza tale da sentire con i polpastrelli il solco della penna sulla carta. Nessuno me l'ha mai insegnato, anzi: mi sono sempre sentita sotto pressione e gli sguardi di disapprovazione davanti ai miei silenzi, ai miei occhi bassi o alle mie parole un po' mangiucchiate non hanno fatto altro che farmi sentire peggio e farmi apparire peggio. Farmi sentire e apparire come non ero. Ed ecco che una mente attiva - probabilmente anche troppo - ci mette un attimo a sembrare come quella di un’ameba. I concetti bloccati in gola, totalmente incapaci di fuggire dalla bocca e liberarsi dall’oppressione della timidezza, preferiscono ritornare nella pancia a fermentare, pretendendo aiuto da medicinali dal gusto orrendo. Ci vorrebbe davvero, quindi, un'anima nobile capace di insegnare ai bambini a non avere paura di parlare. Ma mica solo ai bambini! Ci vorrebbe anche a me adesso perché forse non è troppo tardi, chissà. E poi non è mica bello che ogni volta in cui c'è da spiegarsi io ho solo voglia di dirvi: “Oh! Aspettate un attimo che adesso ve lo scrivo e poi magari continuiamo a comunicare così, ‘che mi viene meno ansia e non mi sento piccina piccina in mezzo a voi giganti”. Scrivere è meraviglioso. Ogni cosa che permetta di esprimersi è meravigliosa. La musica, la fotografia, il disegno, l’artigianato. Avete presente quel gioco in cui con un grande artiglio bisogna acchiappare i pupazzi senza lasciarli cadere per vincerne uno? Quando scrivo o fotografo sento come se stessi catturando un pupazzo dentro di me. Devo stare attenta, muovermi delicatamente per non farlo ricadere nel vuoto. Non sempre  si tratta del pupazzo più bello o di quello più grande. A volte è davvero bruttino, magari è senza orecchie e ha il cuore penzoloni ma merita di essere preso e portato fuori. Merita di essere vinto e di vincere ciò che lo costringe a nascondersi tra i suoi simili, lì dentro la mia pancia. Dentro la vostra pancia. Non è un gioco facile. L’artiglio a volte è debole e deve scivolare in un labirinto fatto di viscere e timidezza ma non solo. Ci sono anche le paure, l’insicurezza e la mancanza di autostima. Ma dove diavolo è questa benedetta autostima di cui tanto si parla con leggerezza? Sicuramente è andata a finire in quel misterioso luogo in cui finiscono anche gli accendini, gli elastici per capelli, i calzini, le ricevute, gli orecchini, le mollette e i sogni che non si ricordano più.
Ne ha di compagni di viaggio difficili, la timidezza. Ne abbiamo noi, di compagni di viaggio difficili.
Quante volte i loro sussurri ci hanno riempito la testa, in quelle notti in cui si fa fatica a dormire e in quei giorni in cui sembra che tutto il mondo corra mentre tu stai fermo, con delle zavorre enormi ai piedi che ogni giorno hanno un volto diverso? Il volto scuro del senso d'inadeguatezza, quello dell'insoddisfazione, quello del senso di colpa e tanti altri brutti volti ancora, compreso quello che troppe volte vediamo riflesso nello specchio. Sentirsi brutti e inadeguati è normale. “Normale” però non significa “giusto”, tantomeno “reale”. E non è una sensazione di passaggio, no. Non è qualcosa che passa con l’adolescenza come l’acne, la scuola. È qualcosa che ti porti dietro a vita e che fa parte di te quasi come il colore dei tuoi occhi. Probabilmente bisogna imparare a conviverci e a giocarci. Dovremmo muovere l’artiglio gigante e pescare anche quel pupazzo. Stringerlo forte e portarlo fuori per trasformarlo in qualcosa che sia capace di parlare per noi quando la bocca si serra in un riflesso involontario e le guance iniziano a scaldarsi e a diventare rosse. E poi, perché no, dovremmo lasciare che i nostri pupazzi giochino tra di loro. Senza più timidezza, senza più vergogna.

    
 



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