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CRONACHE DI UN CONNESSO VIAGGIATORE/BRUTTI, SPESSO SPORCHI E CATTIVI

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

20
DIC
2018

Leggo nel mare magnum degli stimoli e una frase mi balza agli occhi: “diciamoci la verità, gli esseri umani sono una m.@#@a”. Controllo il titolo, sono stato bene attento a non plagiare. Ci ho aggiunto uno “spesso”, ma qui c’è poco da andare a spasso. Si vocifera che la Germania sfondi al ribasso il tetto del debito pubblico, andando sotto il 60% del PIL. Hanno unificato un paese che aveva la parte est con livelli di vita da terzo mondo e sono diventati di fatto il posto più sviluppato e solido del pianeta. Toh, questi “crucchi maledetti!” (cit.). Già, loro ci sono riusciti. Perché? Nella mitologia dello scaricabarile ciò sarebbe accaduto perché un rigoroso mostro teutonico ha schiacciato i popoli latini, buoni e carnali, opprimendo, derubando e trafugando risorse. Il crucco, con alle spalle la massoplutogioudotermoceltica armata delle tenebre, ha rielaborato la razza superiore mostrata da Nino Manfredi in “Pane e cioccolata”, eterno e mai abbastanza elogiato faro di analisi sociale. Stereotipi? Sì, certo, sicuramente. Nessun generale coglie e descrive la variopinta umanità che si cela dietro i numeri secondi, multipli e sterminati, ma è anche vero che un’analisi sulle nostre responsabilità, noi “buoni”, dovremo pur farla, prima o poi.
Trenta anni fa l’Italia era una delle superpotenze mondiali. Leader nel settore manifatturiero, dotata di un’industria tutto sviluppata, seppure già in preda ad alcuni segnali di crisi, con una capacità di stare sui mercati che la poneva ai primi posti in tutte le classifiche di export. “Made in Italy” non era solo sinonimo di stile, ma anche di creatività, innovazione, avanguardia nella capacità produttiva. Poi? Un lento, inesorabile declino. I debiti, l’inefficienza, il compromesso con la mancata funzionalità del capitalismo a trazione familiare e quella logica strisciante, ma sostanzialmente dominante, che ci porta ancora oggi a dare le colpe a qualcun altro. Oggi siamo diventati un posto da cui è scomparsa la parola autocritica. Potrebbero persino cancellarla dal vocabolario, tanto qui non la usa più nessuno. Depongo la mia penna digitale e rileggo: “PARTICOLARMENTE l'esame critico che si conduce all'interno di una organizzazione politica collettivistica, allo scopo di rilevare e correggere errori o insufficienze.” Sostanzialmente una roba straniera, mai vista, sconosciuta o dispersa.
Noi italiani siamo ormai ripiegati su un racconto di noi stessi che non prevede più alcuna introspezione. Abbiamo eretto dei totem, giganteschi pupazzi carnevaleschi, con una scritta bella grossa, che recita: “COLPA DI ALFREDO”. E’ sempre colpa dell’altro, l’erba del vicino è più verde, lo straniero, il nero, il giallo, il tedesco. Già, anche il tedesco. E magari l’altro indica soluzioni, offre esempi, fa vedere che con il rigore, l’efficienza, la serietà nel governo della collettività le cose possono cambiare e migliorare, ma noi no. Ormai qui va di moda il fatalismo. Abbiamo elevato le leggi di “Marfi” a regola cosmologica. Se tutto va storto è perché deve andare storto e non potrà che continuare ad andare storto. E’ un quadro che potrebbe essere raccontato sovrapponendo istantanee musicali: dall’italiano di Toto Cutugno, gioioso, festante, ebbro dei propri segni distintivi, all’italiano medio di J-Ax, che dategli il pallone e non vi disturba più, che quest’anno ha avuto fame, ma per due settimane è andato a svernare la sua miseria nel ritrovo dei vips più hot dello shobiz. E allora ritorna prepotente la maschera di Giacinto, no, non Zacinto. Giacinto, patriarca dal nome antico, perché così ci si chiamava suo nonno, uomo di popolo e di bontà, che difendeva con il fucile il risarcimento per l’occhio perduto sul lavoro, sparando ai figli stipati nella sua baracca. Santi, poeti, eroi, cialtroni, nel blu dipinto di blu.

 



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