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Banani in Jaguar

Pubblicato da: Categoria: EDITORIALI

7
GIU
2013
Tutta questa pioggia non è che m’infastidisca più di tanto. I colori diventano più brillanti e il prato inglese, piantato da un mese e timido come un seminarista, ora non ha più scuse per la sua ostinazione: che esca infine! Non pretendo mica una moquette verde come ne Le déjeuner sur l'herbe di Manet, ma almeno che venga nascosto tutto quel marrone, che fra l’altro non è in pole position nelle mie preferenze cromatiche. Un poco di gerani, surfinie e margherite, qualche pianta grassa, più un papiro e due banani arrivati da Roma nel bagagliaio di una Jaguar: non avranno guadagnato molto nella nuova residenza, ma almeno hanno molto da raccontare. Ecco, diciamo che il giardino non è molto affollato di varietà e se casa mia rimanesse l’unica arca di Noè in un mondo allagato (e poco ci manca), ci sarebbe materiale solo per generare nuovi gerani –esclusivamente rossi-, formiche e nulla più. Con questa visione apocalittica in testa, ho approfittato della domenica per fare una full immersion nel mio sport preferito, lo spy gardening: si tratta di una disciplina di cui sono campionessa mondiale e che consiste nel farsi non i fatti, ché quelli poco m’importano, ma i giardini altrui, guardando, paragonando, ammirando o al contrario commiserando le varie specie presenti. Se si può, senza incorrere nel penale, prendo anche qualche talea. Ebbene, la location dello spy gardening di questo weekend è stato il monastero di Bose nella campagna di Ostuni. Lì, tra la quiete e la spiritualità del posto, sono giunta a una grande verità: le dimensioni contano, eccome. Perché da me la rosa rimane rachitica e là invece con tutti quei fiori si sarebbe potuto addobbare il palco di Sanremo? Perché il mio ulivo è bonsai e là ci ricavano i bilocali nei tronchi? Perché il prato là è fitto come a un’inaugurazione con buffet e da me invece i fili d’erba sono rari come la particella di sodio nella Lete?  Perché là il cactus convive con l’ortensia, incurante del fatto che uno ama il sole tanto quanto l’altra lo detesta, e a me le margherite si suicidano piuttosto che stare sotto due pini? Tutto lì è verde e florido: la gatta è incinta, il cane spazzolato, i monaci fanno le marmellate e il Grande Giardiniere provvede a creare un microclima dove tutte le piante possano crescere e moltiplicarsi. Insomma, un paradiso. Torno a casa senza talee ma con un barattolo di marmellata che avrà vita breve. Guardo il mio giardino marrone, con i banani ancora in stato confusionale, i gatti che usano l’orto come Club Med, anzi Club Cat, il cane che l’ultima volta che ha visto la spazzola c’era ancora Monti al governo. Pazienza. I monaci di Bose godono sicuramente di una Grande Raccomandazione, ecco perché. E in fondo anch’io sono brava con le marmellate. Certo: a mangiarle.   
 


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