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Principe un corno

Pubblicato da: Categoria: EDITORIALI

20
SET
2013
In un passato neanche troppo lontano ero convinta che alle qualità espressive di una persona corrispondessero altrettante virtù morali, che non sono quelle elencate da Ratzinger nel Sacramentum caritatis (rispetto della vita umana, dal concepimento fino alla morte naturale, famiglia fondata sul matrimonio fra uomo e donna, e altre cose che vedremo in seguito) ma che più o meno coincidono con la capacità di essere libero e di buoni costumi. Se un individuo – pensavo – è capace di eccellere in qualsiasi campo d’ingegno, deve essere necessariamente dotato anche di buoni sentimenti. Ebbene, si tratta della fesseria più macroscopica nella storia delle idiozie universali. O forse no. Allora confondiamoci insieme le idee. 
Quel giorno, austera come una capra sotto la panca, accendo Radio Tre e ascolto un madrigale di Carlo Gesualdo. Parlava di amore come di una strana morte, di cor che duol e di tutto ciò che di solito una donna si vuole sentire dire e che un uomo riesce a pensare ma non a esprimere, allora (agli sgoccioli del Rinascimento, con un piede nella Controriforma) come ora. Insomma, mi dico, caspita! Gesualdo – che poi era Principe di Venosa – uccise la moglie Maria d’Avalos perché la sorprese a letto con l’amante. Ma una persona capace di scrivere un testo così non può che essere un romantico, un sentimentale, un buono insomma. Così andavo pensando. E intanto già immaginavo il Principe come un poveretto malinconico, tradito, assassino sì, ma per troppo amore, mentre la d’Avalos: come aveva potuto sollazzarsi con un altro uomo avendo un marito capace di esprimere tali meraviglie? Insomma, Gesualdo guadagnava posizioni nella pole position delle mie simpatie. Allora vado a informarmi meglio. Perbacco, che leggo? Altro che marito appassionato: era in realtà tirchio, cattivo e con due chiodi fissi in testa, la musica e la caccia, il che – direte voi – non è un gran difetto, almeno per quanto riguarda la musica. E invece si conserva la testimonianza di un cortigiano che, a suo dire, non voleva più sentir parlare di questi argomenti dopo averlo brevemente frequentato, tanto gli aveva riempito la testa e altro. La seconda moglie, dopo anni d’inferno passati a subire le angherie e l’avarizia del marito, rimasta vedova rinunciò all’eredità pur di tornarsene a casa propria, dove finalmente venne accolta con tutti gli onori destinati al suo rango. Uno dei principali innovatori del linguaggio musicale, il nipote di San Carlo Borromeo, il mecenate che fece edificare tre chiese e due conventi era anche un uomo pessimo.
Dove voglio arrivare? A saperlo con certezza senza correre il rischio di farla più semplice di quello che è, avrei chiuso già al primo capoverso. A ogni modo la tesi più o meno raffazzonata è che una persona capace di eccellere nell’arte, nella professione o in una qualsiasi attività non è automaticamente esonerata dall’essere un briccone, un assassino, un disonesto o anche semplicemente un individuo da evitare. Questo dato di fatto non ci impedisce di contemplarne l’operato e di riconoscerne l’ingegno e le capacità, ma ci risulta utile quando si presenta la scelta di chi frequentare, di chi emulare, di chi ammirare, di chi votare. E comunque, foss’anche non vi abbia convinto, quando ascolterete – perché capiterà, ve lo assicuro, a chi non capita? – un madrigale del Principe di Venosa, penserete: eh, bravo, chapeau. Però. Che persona sgradevole! 
 


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