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La regola del pane

Pubblicato da: Categoria: EDITORIALI

22
NOV
2013
Sant’Ignazio di Loyola era in torto quando affermava che il pane non fosse un alimento «sul quale l’appetito suole disordinarsi tanto, o su cui la tentazione insista come su gli altri cibi». Ebbene, non è come scrive lui. Grande consumatrice di pane e suoi derivati conditi, mi sono autoimposta una regola: mai più dopo le 17,00. E a dire la verità, i benefici effetti si vedono, tanto che ormai – nel mio regime alimentare - mangiare pane di sera è conseguenza di una giornata davvero storta, sì da dover cercare consolazione nei magici e quietanti carboidrati. Questa attenzione comunque è un segreto di Pulcinella visto che era adottata anche nella dieta benedettina, indicante in una libbra la giusta quantità di consumo, da mangiare soprattutto a pranzo. Chissà quali sarebbero stati i commenti in quella mensa morigerata e rispettosa dei giorni di magro e bianco, se avessero avuto la possibilità di assistere alla quotidiana full immersion cibaria alla quale siamo costretti: e sì che i benedettini erano dei crapuloni al confronto di certi regimi adottati dai santoni cristiani della prim’ora o degli esercizi spirituali con cui le pie ragazze (una lista lunghissima di sante medievali) camuffavano quella che in seguito verrà riconosciuta come malattia nervosa. E in realtà l’interesse contemporaneo per il cibo è l’esatto contrario dell’anoressia, pur avendone la stessa origine (un desiderio esteriormente gradevole di divenire campione di perfezione) e lo stesso fine (un risultato comunque molto apprezzato socialmente). In entrambi i casi è evidente anche la distorsione visiva nel vedersi più grassi, nell’ossessione estetica da gastronomia patinata e nel gesto terribilmente esibizionistico del cucinare mediatico. Narcisistica la furia dietetica dei primi santi, in una cultura cristiana che aveva rinnegato la civiltà dei bagni e delle terme (e infatti si olezzava parecchio, ma questa è un’altra storia), come narcisistico è questo modello alimentare in bilico tra dieta e tavola necessariamente imbandita, diktat sociali che trasformano l’uomo da Sapiens a Edens, sempre alla ricerca di un equilibrio dietetico ma forse più personale.
Morale della favola: quanto sarebbe più conveniente allentare la continua tensione tra un’esagerazione e l’altra, tra le visioni dei gastromani e quelle conseguenti al digiuno (la fame si sa, è la droga più potente ed economica), riprendendo anche a rispettare il calendario agrario e l’alternanza tra stagioni, che richiede un diverso fabbisogno calorico. Perché, come dice il saggio, excessus facimus, sed nos annosque voramus: qualunque eccesso ci fa mangiare una porzione di futuro.  
 


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