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E se un giorno all´improvviso

Pubblicato da: Categoria: EDITORIALI

31
AGO
2012

 

Complici le ultime scoperte in quel mistero senza fine che è il digitale terrestre, di cui mi limito a subirne gli assestamenti, questa settimana avrei parlato di nuovi linguaggi televisivi. Mi sarebbe piaciuto anche fare outing, confessando alcune passioni perverse, come Telemarket o Qvc, utilizzati come oppiacei dopo una giornata particolarmente faticosa, o Real Time, con i suoi programmi dai titoli esistenziali e rivelatori, del tipo: “Ma come ti vesti?”, “Cortesie per gli ospiti” e “Vendo casa disperatamente”. Imperdibili.
E invece no, c’è un cambio radicale di rotta, una virata necessaria, visto che questo numero di Extra è dedicato alla sensibilizzazione verso la cura e all’assistenza di persone che, per un trauma improvviso o una malattia, si ritrovano a non avere più le stesse capacità fisiche e mentali di cui disponevano. Non è un argomento facile da affrontare, per più di un motivo: primo fra tutti è che non se ne parla abbastanza. La rilevanza sociale di questi individui in termini numerici, senza contare le famiglie che ruotano attorno, è altissima, ma di questa quantità di umanità dolente e di tutto il fardello di necessità connesse non vi è traccia nel dibattito pubblico, nelle proposte politiche, nei lavori parlamentari, nei salotti televisivi. Ha fatto molto discutere il caso di Eluana Englaro, vero, ma si trattava di un caso etico, una scelta manicheista, o la vita o la morte. Nella stragrande maggioranza dei casi, invece, si tratta di persone la cui vita è fortemente compromessa, sì, ma sempre vita rimane. Abbozzata, immobile, difficile, piagata, rattrappita: sempre vita è. Il vero dramma, oltre al trauma o alla malattia, è la solitudine in cui sono lasciati questi uomini e donne che paradossalmente hanno perso la propria individualità, nel senso che dipendono in tutto e per tutto da altre persone. Quindi, proprio nel momento in cui si avrebbe bisogno di tutto il sostegno della collettività, lì si tocca con mano l’inefficienza del sistema sanitario, che costringe ad assurdità burocratiche, e all’inconsistenza di una società che esclude di fatto persone che non hanno potere d’acquisto o di voto. Si fa un gran parlare del riconoscimento dei matrimoni gay, cui peraltro sono favorevolissima, eppure quella di cui ci stiamo occupando è un’emergenza sociale ben più grave: la spiegazione è semplice, gli omosessuali  occupano una porzione di mercato molto ampia, in genere spendono, si curano, vanno in palestra, occupano anche posti socialmente rilevanti e costituiscono una potenza elettorale; invece altre minoranze non hanno un impatto così forte, né sono istituzionalmente e politicamente rappresentate. In Parlamento abbiamo onorevoli omosessuali che gridano a gran voce i propri diritti, ed è giusto, ma non conosco onorevoli in carrozzina che non riescono né a parlare né a espletare le proprie funzioni vitali autonomamente. Eppure sono tanti, eppure soffrono, eppure hanno una famiglia – quando c’è – che passa un inferno simile se non peggiore.
Ecco, con le testimonianze che abbiamo raccolto in questo numero, vogliamo che si rivolga un’attenzione maggiore al problema dell’assistenza verso i disabili cronici, ovvero persone che non sono più ospedalizzate ma che hanno la necessità di  cure costanti. Tre storie: c’è chi ha vinto la malattia, chi ci combatte quotidianamente e chi non può nemmeno raccontare il proprio disagio, ma ha trovato altre voci che parlano per lui. Un messaggio di denuncia ma soprattutto di speranza.
 


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