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Il PdL come Versailles

Pubblicato da: Categoria: EDITORIALI

16
MAR
2012

 

Se i giardini di marzo si riempiono di nuovi colori, le liste si riempiono di nuovi candidati e fioccano alleanze improbabili e inspiegabili: antropologi e inviati di Voyager guardano con interesse quanto accade nella politica martinese. Lungi dal commentare i più recenti sviluppi, che comunque dovrebbero sfociare naturalmente verso Michele Marraffa come candidato a sindaco del PdL, sono ormai così disincantata che il mio più grande cruccio non è chi votare a maggio, ma di che colore scegliere gli ultimi ciclamini prima di passare al rinvaso dei gerani. A quanti mi chiedono notizie a proposito delle cronache dal partito guidato dal senatore Nessa, rispondo raccontando questa storia, metafora precisa di quanto sta accadendo.
Siamo nel XVIII secolo. Maria Antonietta  era figlia della grande Maria Teresa d’Austria, erede dell’impero carolingio e alla guida di uno dei territori più vasti e potenti dell’Europa di allora. Maria Teresa era una donna molto forte e segnò più nel bene che nel male la sua epoca, attuando numerose riforme, cercando di accontentare un po’ tutte le espressioni sociali del suo regno e riuscendo a garantire stabilità con un abile gioco di equilibri interni e internazionali. Proprio in virtù della necessità di rinforzare il legame con la vicina Francia, Maria Teresa diede in sposa la figlia al Delfino, nipote di Luigi XV e futuro re sotto il nome di Luigi XVI. Appena arrivata su suolo franco, la piccina capì di essere stata catapultata in un mondo completamente diverso dal suo: se in Austria doveva rendere conto all’egida della madre, qui, cerimoniale a parte, era padrona della sua vita e di fare quello che più le piaceva, dovendosi però destreggiare in un ambiente cinico e ipocrita. Passato a miglior vita Luigi XV, Maria Antonietta si ritrovò regina insieme al goffo e inadeguato marito, che era un brav’uomo, certo, ma per nulla adatto a regnare nel cuore di sua moglie e dei suoi sudditi. Intelligente ma estremamente orgogliosa, insofferente e leggera, Maria Antonietta fece comunella con la duchessa di Polignac, donna affascinante che seppe fare leva sull’inesperienza e l’ingenuità della giovane regina e insieme al marito fece sì da isolarla dal resto della corte. Già Maria Antonietta non era proprio molto simpatica agli occhi dell’entourage di Versailles, figuriamoci poi quando fu palese il fatto che la regina snobbava tutti a favore dei Polignac. Per molto tempo la coppia si sarebbe approfittata di lei, blandendola e offuscando la sua reputazione e lei avrebbe risposto ricompensandoli con le sue mani truffate e concedendo loro ogni genere di favori. Eppure ogni tanto il dubbio si affacciava in quella testolina, ma l’orgoglio le impediva di ammettere che non era lei a condurre il gioco, ma lo subiva, trovandosi così nel novero degli imbrogliati. La madre naturalmente non solo non approvava questa amicizia, ma anzi la condannava con parole molto dure nelle tante lettere indirizzate alla sprovveduta figlia. Ma tant’è. Maria Antonietta capì troppo tardi di aver riposto la sua fiducia nelle mani sbagliate: avvertendo che le cose si mettevano male, i Polignac fecero i bagagli e si trasferirono in posti più sicuri rispetto a una Francia che trasudava di rivoluzione, lasciando la regina al suo destino e al popolo inferocito.
Credo che arrivati a questo punto almeno ventiquattro dei miei malcapitati venticinque lettori si siano assopiti dalla gran noia. Eppure penso che ci sia sempre qualcosa da imparare in una storia dove, cambiate le cose che devono essere cambiate, i fatti si ripropongono con lo stesso campionario di intrighi, strategie, interessi, ingenuità. 


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