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(IN)GIUSTIZIA

Pubblicato da: Categoria: EDITORIALI

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LUG
2015
Ci sono alcuni parametri che aiutano a definire il livello di civiltà di un popolo, di un paese, di una nazione e che spaziano dalla realtà economica allo stato del sistema scolastico, dall’efficienza del sistema giudiziario all’efficacia dello stato sociale, al grado di sicurezza quotidiana dei cittadini. Gli stessi parametri possono essere usati per determinarne il livello di degrado con una accentuazione particolare per lo stato di salute della giustizia. Nel nostro Paese, e non da oggi, la patologica regressione del sistema giudiziario ha cronicizzato al punto che, come accade per i malati terminali, non risponde più alle terapie ed ai farmaci che gli vengono periodicamente somministrati ed il Corpo sociale non è più in grado di produrre anticorpi efficaci. L’amara constatazione trova puntuali riscontri nella pratica quotidiana della malagiustizia. È di questi giorni un caso emblematico di questo stato catatonico del nostro sistema giudiziario e degli uomini preposti al suo funzionamento. Nel 2008 una giovane donna di 22 anni denunciò di essere stata vittima di uno stupro da parte di un branco di uomini, che lei considerava amici, nei pressi della Fortezza da Basso a Firenze. Ho scientemente usato l’espressione “branco di uomini” per non mancare di rispetto al “branco di animali”, perché solo la “bestia” uomo contempla nei propri schemi comportamentali il concetto di “stupro”. Il processo che ne è seguito ha portato, in primo grado, alla condanna delle sei bestie umane per aver abusato delle condizione di inferiorità psichica e fisica della ragazza, che sarebbe stata ubriaca. Nel secondo grado i giudici d’appello hanno sovvertito il giudizio, mandando assolte le sei bestie umane, sostenendo che la ragazza “per quanto non sobria”, sarebbe stata comunque “presente a se stessa” e di conseguenza consenziente. Ora mi chiedo quale sia la lucida follia che ha guidato il collegio giudicante sì da far ritenere che una donna, chiunque essa sia, possa volontariamente giacere contemporaneamente con sei uomini. Personalmente credo che neanche una pornostar professionista ne sarebbe capace. Ma l’aggravante, in una sentenza di per se sconcertante, è che i giudici nelle loro motivazioni si sono spinti ad esprimere una serie di valutazioni di carattere morale sulla donna tali da farla passare dallo stato di vittima a quello di istigatrice del comportamento scellerato del branco. E questo è francamente inaccettabile. Con questa sentenza, che va ad aggiungersi a decine di altre sentenze avverse a donne vittime di stupro emesse in questi ultimi anni, si ribadisce esplicitamente la subalternità della donna nei confronti dell’uomo e che la donna, come ci illustrano i testi sacri, è espressione terrena del diavolo, strumento satanico di provocazione e di lussuria volto a perdere la purezza dell’uomo. Attente donne agli abiti che indossate, alle parti del corpo che esponete agli sguardi innocenti dei maschi, alla quantità di alcool che assumete quando siete in compagnia degli uomini, al linguaggio libertino che usate. Tutto ciò è una esplicita richiesta ai maschi di essere manipolate, palpeggiate, violate, stuprate e nessuna legge, terrena o divina, potrà salvarvi. Non rimane che rivolgere a quei giudici, più simili ai ministri dell’inquisizione che ai magistrati di un paese che si ritiene civile, un sincero augurio. Vi auguro di non dovervi trovare mai nelle vostre aule di tribunale a dover giudicare un gruppo di “bravi ragazzi” che hanno malinteso il provocatorio linguaggio del corpo di una vostra figlia.       
 


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