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L'assassino e l'identità violata

Pubblicato da: Categoria: EDITORIALI

12
GEN
2017
Mentre si va in stampa il comandante provinciale dei Carabinieri di Ferrara non ha ancora tenuto la conferenza stampa per illustrare i particolari dell’omicidio. Quello che sappiamo è che un sedicenne ha ucciso i genitori, con la complicità di un amico. I due cadaveri sono stati trovati in stanze diverse: quello della madre vicino al letto, quello del padre in un garage, dove era stato trascinato dall’abitazione col cranio fracassato e un sacchetto di naylon in testa. A dare l’allarme è stato proprio il figlio assassino, subito caduto in contraddizione.
 
Il primo pensiero è: perchè un giovane uccide i genitori senza alcun apparente motivo? Vado a cercare le risposte nei commenti di Facebook, la solita pancia del popolo che urla la stessa solfa, ovvero occhio per occhio, che possa morire tra atroci tormenti e così strepitando. Provare a parlarne con gli avvocati è poco utile, per loro rispondono le sentenze. E sono tante. Una delle più eclatanti, quella del 2011, quando Erika e Omar vengono condannati a 16 anni lei, a 14 lui. Oggi sono usciti entrambi dal carcere, lei si è anche laureata in Filosofia nel 2009 durante la detenzione.
 
Ci penso, non può essere che così: un gesto così forte scaturisce solo da una rabbia e da un'aggressività che non può essere più contenuta. È in quel punto di non ritorno che il controllo lascia il campo. Uccidere simbolicamente il padre è una costante dell'umanità raziocinante, un'immagine cruenta ma efficace per indicare il superamento dei propri limiti, o meglio dei limiti guida imposti dal padre. Uccidere realmente il padre, invece, comporta che ci sia stato un gap nel processo evolutivo del soggetto. È mancato forse il riconoscimento, ovvero la consapevolezza di sè nel ruolo sociale che man mano l'individuo deve assumere. Se nel contesto familiare il soggetto non può sviluppare questa consapevolezza che nasce dalla fiducia di essere accettato completamente (di essere cioè riconosciuto per quello che veramente è), si farà spazio una dolorosa percezione di inadeguatezza. Si può trattare di uno stato transitorio, magari legato a periodi o a fatti specifici, oppure dolorosamente cronico, uno stato costante di sofferenza dal quale il soggetto deve liberarsi per non restare schiacciato. Di fronte a quest'ultimo caso si offrono due possibilità: o auto annientarsi in un'identità falsificata, adeguandosi alla volontà del genitore e identificarsi con l'immagine desiderata, oppure eliminare la presenza dell'altro che lo tiene -inconsapevolmente - sotto scacco continuo. 
 
Queste considerazioni scaturiscono dalla necessità di una risposta e non vi è alcun tentativo di difesa per il ragazzo, anzi: ci penseranno gli avvocati, la legge italiana è relativamente mite quando si tratta di minorenni. È un delitto terribile, compiuto con spaventosa freddezza. Quando avrà scontato la sua pena avrà tutto il tempo - e speriamo anche il desiderio - di ricominciare una nuova vita.
 


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