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QUI E ORA / PER PIACERE, PER CONVENIENZA O PER DEBOLEZZA

Pubblicato da: Categoria: EDITORIALI

19
OTT
2017
Prima di accusare le attrici soggette agli abusi sessuali di Weinstein, sarebbe utile pensare a quante braccianti debbano accettare le attenzioni morbose dei caporali, quante vengano violentate nei campi di accoglienza prima di poter raggiungere la salvezza, quante operaie siano costrette a subire umiliazioni di natura sessuale dal datore solo per conservare il posto di lavoro
 
“Per piacere” è una locuzione che, per forma di cortesia e buon costume si affianca a una richiesta. Ha il significato di ottenere qualcosa se non è di troppo disturbo all’altro, solo se lo ritiene una cortesia. Eppure c’è chi, anche nel caso di una richiesta legittima, ne ha mutato il senso. Una domanda generica come: “Potrebbe esaminare la mia pratica, per piacere?” cambia spesso soggetto e contenuto in: “Esamino la sua pratica se mi fa un piacere”. Da istanza a condizione.
È ancora più rilevante se il significato di “piacere” diviene più arcaico e si riferisce all’appagamento di un appetito fisico.
 
Questo è l’oggetto dello scandalo emerso nelle ultime settimane, che ha investito l’ambiente del cinema hollywoodiano a seguito di una dettagliata inchiesta curata da The New York Times. Harvey Weinstein, noto produttore cinematografico ha protratto per anni molestie sessuali nei confronti delle aspiranti attrici e delle interpreti dei  lm da lui finanziati. Dopo le prime testimonianze delle vittime, le rivelazioni si sono moltiplicate iperbolicamente rivelando un sistema consolidato cui si poteva sfuggire solo rinunciando alla carriera. Le donne, e non solo attrici legate da rapporti lavorativi presso la società del produttore, per mantenere la loro condizione, dovevano sottoporsi alle attenzioni sessuali dell’imprenditore. Ciò che è emerso riveste, ancora una volta, la prevaricazione verso i subalterni e contro chi si ritiene inferiore. Nel caso specifico, sono emersi il peggiore sessismo allo stato primordiale e la manifesta volontà di predominio dell’uomo sulla donna, molto vicini alla regressione. Come se l’accaduto non fosse già abbastanza becero, è ancora più indisponente l’atteggiamento di sorpresa che hanno manifestato gli operatori nell’ambiente dello spettacolo e dello showbiz. Registi, attori, colleghi produttori, amici di Weinstein, fondamentalmente di sesso maschile, sembrano “caduti dal pero” ostentando stupore, disorientamento e disappunto nemmeno stessero commentando un evento scabroso accaduto in un convento di frati trappisti mentre, in realtà, erano compiacenti testimoni. Per raccontare quest’ennesima violazione della donna, però, è seriamente necessario liberarsi dai veli del pudore, dal falso perbenismo e, se ancora possibile, dell’infinità di tabù sociali legati al sesso. È difficile pensare che nel XXI secolo il genere umano sia incapace di controllare gli istinti che persino il mondo animale riesce a condizionare all’ambito comunitario che lo circonda. Eppure, non solo queste storture sociali accadano ma c’è chi continua a ignorare che negli ambienti lavorativi, specie se le donne sono subalterne agli uomini, si verifichino continui tentativi di abuso sessuale condizionato alla condizione di supremazia. Se non fosse emerso il caso Weinstein, sembrerebbe che l’opinione pubblica ignorasse, sino ad ora, che in molti ambiti lavorativi la conservazione del posto di lavoro e l’avanzamento di carriera delle donne siano spesso condizionati dalla maggiore o minore disponibilità a subire attenzioni sessuali. È evidente che quest’andazzo è ritenuto una prassi o che l’ipocrisia abbia raggiunto i massimi livelli del pensiero moderno. Restando nello specifico, nell’ambiente cinematografico e dello spettacolo, si è sempre parlato di una forma di sudditanza che le donne, specie negli States, hanno subito nei confronti del genere maschile per proseguire la carriera. Ne hanno parlato pubblicamente le attrici Joan Collins, Judy Garland, Helen Mirren che a Hollywood hanno dovuto subire molestie, sino ai fatti più recenti che hanno riguardato il noto attore Bill Cosby che avrebbe abusato di oltre 50 donne impiegate nel setto- re e dell’attore-culturista-politico, Arnold Schwarzenegger che perpetra abitualmente attenzioni sessuali verso le collaboratrici e le colleghe. Come questi, tanti altri casi anche in Italia. Fra le recenti accusatrici di Harvey Weinstein c’è anche l’attrice Asia Argento,  glia del noto regista che, a distanza di vent’anni dai primi episodi di abuso subito, oggi ha deciso di denunciarli pubblicamente. La carriera nel mondo dello spettacolo, quindi, è spesso direttamente proporzionale alla disponibilità delle attrici o delle showgirl nei confronti di produttori, registi e colleghi.
 
Si presume che questa fosse un’importante occasione per sollevare un problema come quello degli abusi sessuali che le donne subiscono nel mondo del lavoro eppure, dopo la notizia, gli ammiccamenti, i risolini ebeti, gli epiteti peggiori nei confronti delle vittime nascono dalle donne contro le donne. Come martiri votate alla purezza dello spirito, molte hanno considerato le donne abusate come responsabili della loro condizione. Probabilmente censurano mentre s’immolano a denti stretti ai piaceri sessuali altrui solo per dovere. Come sempre, per analizzare le condizioni sociali è necessario restare oggettivi. È assolutamente normale che gli esseri umani provino reciproca attrazione e desiderio sessuale ma la differenza fra l’arretratezza, la patologia e il vivere civilmente nella società è rappresentata dal saper distinguere i giusti ambiti. Ciò non significa “mai sul lavoro” a condizione che ci sia condivisione d’intenti e non divenga uno strumento adattato ad altri scopi. Le distinzioni in tal senso sono varie perché, evidentemente, ci sono anche donne e uomini che affrontano le scalate sociali anteponendo all’intelletto, l’aspetto fisico e la disponibilità.
 
Non è certo a loro che ci riferiamo parlando di vittime perché il loro è un atteggiamento assolutamente sleale nei confronti di chi affronta la vita con preparazione e professionalità. In questo contesto, leggere i commenti delle donne contro le donne è anche peggio, specie se avviene in Italia dove una clamorosa inchiesta giudiziaria ha avuto per imputate donne che hanno raggiunto rapidamente i vertici della carriera politica e sociale per aver appagato i desideri sessuali di esponenti di partito e del governo. Piuttosto che l’uso del sistema delle tangenti, del voto di scambio, dei concorsi truccati, sono state offerte prestazioni sessuali. Il meccanismo della corruzione-concussione tanto diffuso nel nostro paese manifesto attraverso un metodo alternativo.
 
Per focalizzare e concretare il problema è necessario adottare il giusto mezzo di confronto. Prima ancora di accusare le attrici soggette agli abusi sessuali di Weinstein, sarebbe utile pensare a quante braccianti debbano accettare le attenzioni morbose dei caporali, quante vengano violentate nei campi di accoglienza prima di poter raggiungere la salvezza, quante operaie siano costrette a subire umiliazioni di natura sessuale dal datore solo per conservare il posto di lavoro. Chi ignora questa condizione così diffusa finge o è connivente con questo sistema.
 
Seppure Asia Argento fosse stata compiacente con Harvey Weinstein al solo scopo di raggiungere una carriera cinematografica, il suo atteggiamento è imparagonabile a quello di una ministra, un’assessora, una senatrice, una onorevole divenute tali per “aver fatto un piacere” al proprio protettore politico. Per boicottare la carriera di un’attrice o una showgirl è sufficiente disertare le sale cinematografiche o cambiare canale televisivo ma non è così semplice ottenere lo stesso risultato nel mondo politico e della pubblica amministrazione. Certo, è anche possibile decidere che questo non sia mai accaduto, che le attrici si siano offerte volontariamente al produttore, che non siano mai esistiti festini sessuali conclusisi con l’assegnazione di un incari- co governativo, con l’assegnazione della conduzione di un programma televisivo nazionale o l’attribuzione della presidenza di un ente statale ed è, persino, possibile decretare che nessuna donna sia oggetto di attenzioni sessuali da parte di taluni datori di lavoro.
La differenza, alla fine, è insita proprio in quello che è comodo o che vogliamo decidere.

 



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