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Perdindirindina

Pubblicato da: Categoria: EDITORIALI

27
SET
2013
In caso di accidente o di evento che desti sorpresa spesso ci si rivolge all’onomastica dei santi con intenzioni variabili che vanno dall’imprecazione all’invocazione. Il calendario è ben nutrito, quindi ce n’è per tutti i gusti e per tutte le esigenze. Nell’antichità le cose andavano esattamente nella stessa maniera: anche allora era vivo il bisogno di appellarsi a un nume per esprimere sentimenti di rabbia o per commentare un fatto inaspettato. Ebbene, due esclamazioni molti frequenti nel linguaggio comune erano: Edepol (per Polluce!) e Mecastor (per Castore!). Il fatto che in questi giorni abbia avvertito – causa scheggia di legno infilatasi abusivamente in un dito – la necessità di rivolgermi affettuosamente a un’entità per protestare della cattiva sorte mi ha fatto ripensare a quel Mecastor! che  ormai non offende più nessuno. O no? 
In realtà la Chiesa delle origini si è trovata a gestire tutto un impianto pagano fatto di simboli, culti e riti che non sempre è stato possibile soppiantare e sostituire con altro materiale simbolico, cultuale e rituale – che fra l’altro non c’era, essendo il Cristianesimo ancora agli inizi della sua storia. Quindi si pensò di bene di salvare il salvabile e farlo proprio. La civetta, simbolo di razionalità, fedele compagna di Atena, poteva essere convertita alle nuove esigenze? Ma figuriamoci, in una religione che predicava l’importanza di un al di là che non si vedeva né si sentiva, a dispetto di un ben più tangibile hic et nunc pagano. La razionalità sarebbe servita, ma nei testi patristici e successivamente con le riflessioni di Tommaso d’Aquino, per provare che la vita eterna esiste davvero ed è anzi lo scopo, il fine ultimo di quella terrena. Quindi la povera civetta nisba: era un simbolo che non si poteva riciclare e anzi andava messo in cattiva luce. E infatti da allora – da beneaugurante che era – fu tacciata di essere una portatrice di sventura. Lo stesso accadde con una data molto importante per il mondo pagano, il solstizio d’inverno, giorno di nascita del Sol Invictus, Horus per gli Egizi, Mitra per gli indo-persiani. In realtà i Vangeli non indicano la data in cui nacque Gesù, quindi quel 25 dicembre che noi festeggiamo è una data convenzionale, mutuata da altre tradizioni. Di tanti altri simboli che si rifanno al paganesimo, molti sopravvivono ancora nell’iconografia di Maria: una delle sue attribuzioni, quella di Madonna Pastorella, che la vede calpestare una falce di luna, è un chiaro riferimento a Diana, che – vergine - governava i cicli lunari, i boschi e i pascoli. Fra i santi, Cosma e Damiano, medici in Siria vissuti nel III secolo, hanno molto in comune con Castore e Polluce, il cui culto – diffusissimo nella Magna Grecia - era troppo vivo per farlo sparire senza sostituirlo con un’altra coppia di gemelli, da invocare in casi disperati, se non in mare (campo privilegiato dei Dioscuri) almeno in terra, fra le umane malattie. E difatti Cosma e Damiano, di cui in questi giorni cade la ricorrenza, sono i patroni di medici, chirurghi, farmacisti, dentisti e pure parrucchieri (e non c’è da stupirsi visto che in tempi non tanto lontani i barbieri cavavano denti e praticavano salassi). 
Come vedete dunque, e lo diceva anche Lavoisier, nulla si crea e nulla si distrugge perché tutto si trasforma. Attenti dunque a non maltrattare Castore o Polluce nelle vostre imprecazioni, perché Qualcuno potrebbe rimanerci male.     
 


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