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È un quotidiano, non un antibiotico

Pubblicato da: Categoria: EDITORIALI

13
DIC
2013
Il Corriere del Giorno, quotidiano tarantino di grande tradizione, è in grande difficoltà, addirittura a rischio chiusura, e questo è motivo di grande doglianza sia per la perdita di una voce d’informazione locale sia per i giornalisti e tutti coloro che si ritroveranno lavorativamente in bilico. Eppure. 
Eppure ben misero effetto sortisce un piantarello sul latte ormai versato, così come inutili sono gli appelli all’acquisto del Corriere in edicola:  un giornale che si legge per pietà è come un amore che si trascina per compassione, triste e poco dignitoso. D’altronde, si peccherebbe d’ingenuità a pensare di tappare una voragine con una pezza: non è con un euro, seppure moltiplicato per migliaia, che si possono risollevare le sorti economiche della testata. 
Eppure il mercato ha parlato chiaro: il giornale, di ridotta foliazione, ha perso ormai il suo appeal e – diciamo – poco è stato fatto per rimediare. Una gestione che sfido chiunque a non appellare come scellerata ha fatto sì che non bastassero nemmeno i finanziamenti pubblici: non parliamo di bruscolini ma in ordine di milioni di euro, risucchiati in dinamiche gestionali che non interesserebbero se non fossero soldi di contribuenti. Ma si sa, dall’essere di tutti all’essere di nessuno il passo è breve. 
Eppure, da questa vicenda, speriamo che si giunga a una concorrenza finalmente leale. Facile vendere un’inserzione pubblicitaria a un prezzo stracciato quando ci sono entrate ingenti e statali: il mercato ne risulta viziato e ad averne nocumento sono le testate che vivono grazie ed esclusivamente a coloro che investono in comunicazione. 
Quindi sarebbe opportuno, soprattutto per tutti i politici che - anche in virtù di rapporti collaborativi e amicali – si stanno profondendo in comunicati di solidarietà con la redazione, che qualcosa cambiasse sì, ma non facendo il fioretto di prendere per una settimana di seguito il giornale – manco fosse un antibiotico - o lacerandosi le vesti su Facebook, ma pensare seriamente a riformare il mondo dell’editoria, tutelando non solo giganti stanchi e pasciuti che si trascinano per inerzia ma anche quelle giovani realtà che vanno avanti senza troppi piagnistei e non contando su speranze assistenzialistiche.   
 


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