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SPORT E CIVILTA´

Pubblicato da: Categoria: EDITORIALI

9
MAG
2014
Per secoli le due nobili espressioni, l’una fisica e l’altra metafisica, sono state simbiotiche, complementari e determinanti per la storia evolutiva della nostra specie. Nella Grecia Classica era costume sospendere i conflitti in occasione dei Giochi Olimpici. Questa consuetudine è stata completamente sovvertita nel XX secolo, lo stesso secolo che ha visto il più straordinario impulso al progresso scientifico, quando per ben due volte le Olimpiadi moderne sono state sacrificate, insieme alla vita di milioni di esseri umani, in nome degli interessi superiori della guerra. Per non parlare degli atti terroristici compiuti durante i giochi di Monaco di Baviera o dei sabotaggi di intere nazioni in altre. La progressiva divaricazione tra sport e civiltà, o presunta tale, si palesa sotto i nostri occhi giorno per giorno, così che gli avvenimenti drammatici vissuti nel sabato di fuoco dell’Olimpico di Roma non dovrebbero sorprenderci oltre misura. Ma l’imbarbarimento dei costumi, da troppi anni in atto nel nostro Paese, nulla ha a che vedere con lo sport. Non è lo sport a essere malato ma la società che abbiamo costruito, o se preferite, distrutto. Chi parla di sport malato nella migliore delle ipotesi è un superficiale ignorante, nella peggiore è in perfetta malafede. È un errore grossolano confondere lo sport praticato dallo sport guardato e parlato. Rifletto sul fatto inequivocabile che i Paesi liberi dalla piaga della violenza, fisica e verbale, che circonda invece il mondo dello sport italiano sono quelli che hanno un vastissimo movimento di cittadini praticanti lo sport attivo. L’attività sportiva praticata fin da bambini educa alla competizione, anche serrata, ma educa parimenti al rispetto dell’avversario, a riconoscerne il valore quando si dimostra superiore, a non coltivare rancori ma a rafforzare la volontà di migliorarsi per primeggiare nelle competizioni successive. E questo ci porta al nucleo centrale del problema: il nostro sistema educativo e la nostra scuola. Il ventennio fascista ha avuto molti torti ma ci aveva lasciato in eredità, grazie al genio misconosciuto di Giovanni Gentile, un sistema scolastico ed educativo di primissimo ordine (se non in assoluto il migliore del mondo occidentale). In esso la cura del corpo riceveva le stesse attenzioni che dedicava allo spirito, memore della saggezza latina che voleva una “mens sana in corpore sano”. L’esercizio fisico e la pratica sportiva erano esaltati come strumenti di crescita fisica ed intellettuale, appannaggio non solo delle classi abbienti ma trasversale a tutti i ceti sociali. Lo smantellamento sistematico della riforma gentiliana perpetrata in questi settanta anni di Repubblica, quasi un inconsapevole anelito alla purificazione da tutto ciò che era contaminato dal passato regime, ha portato al degrado della nostra scuola che stanno pagando i nostri figli e nipoti. Per dirla con un detto popolare “abbiamo buttato via il bambino con l’acqua sporca”. La pratica sportiva da parte dei bambini nella scuola di oggi è diventata ormai inesistente e chi vuole praticare uno sport deve pagare profumatamente in strutture extra scolastiche. Nella disastrata situazione economica in cui versano le famiglie italiane, diventa sempre più difficile trovare risorse per pagare la pratica sportiva dei nostri bambini e dei nostri ragazzi. In questo modo è proliferata una stirpe di sportivi della “vista” e della “parola”, incapace di comprendere cosa c’è nello sport al di là della fazione e dell’odio per i colori avversi. Possiamo, in  tutta onestà, meravigliarci se non nascono più da noi i Mazzola e i Rivera, i Coppi ed i Bartali, i Pietrangeli e i Panatta, i Marzorati e i Meneghin, i Mennea e le Simeoni? In compenso abbiamo solo l’imbarazzo della scelta tra i Genny “a carogna” (in foto) che quotidianamente ci attraversano la strada. 
 
 


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