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Come carciofo in campo

Pubblicato da: Categoria: EDITORIALI

16
NOV
2012

 

Tema del giorno: l’alter, l’ego e l’alter ego.  Il primo e il terzo non sono concepibili senza il secondo, non potendo realizzare un altro da me o un altro me se  io stesso non esisto. L’ego, invece che starsene ben in equilibrio come carciofo in campo, oscilla fra l’uno e l’altro con risultati che diventano – a seconda dei casi – o arte o cronaca. E visto che i carciofi ci piacciono perché conservano la loro individualità pur convivendo con gli altri capolini, in loro onore procederemo all’argomentazione su basi puramente eufoniche, prendendo spunto dalla “c” iniziale per parlare di camalli, commedie e Chiarelli.
A Genova, probabilmente per motivi di gelosia, un trentenne ha ucciso un suo coetaneo, che oltre all’età aveva in comune con l’assassino il nome, il cognome, il mestiere e il quartiere. Matteo Biggi, 30 anni, di Genova, camallo, figlio di camallo: uguali nella definizione, non si distinguono nemmeno – almeno sulla carta - in vittima e omicida, ma coincidono in quello che è biografia e epitaffio insieme. Chi incontra il suo doppio incontra la morte e Matteo ha incontrato il suo doppio. Matteo ha ucciso Matteo e Matteo, morendo, ha pronunciato un’ultima parola: “Matteo”. Una rivendicazione di identità ma anche la denuncia dell’assassino, un nome che è elemento rivelatore ma nello stesso tempo elemento perturbante. Nella Roma repubblicana, i personaggi illustri venivano accompagnati, come scrive Diodoro Siculo, da mimetaì «che ne studiano attentamente il portamento e le peculiarità dell’aspetto»: erano mimi, insomma, che durante il funerale degli illustri avevano il compito di impersonarli nella parvenza e negli atteggiamenti. Inoltre, si conservavano le maschere in cera degli avi che, durante i funerali, venivano indossate da persone che rassomigliavano al defunto di cui indossavano l’imago. Vedere il proprio doppio, quindi, significava essere al proprio funerale, pur essendo ancora vivi: e ciò significava o tanta sfiga oppure una magia, come pensava lo schiavo Sosia nell’Anfitrione di Plauto, incredulo davanti a un altro se stesso. Povero Sosia: in realtà si trattava di Mercurio travestito, messo lì a guardia da Giove, giusto il tempo di sedurre – nelle sembianze del marito Anfitrione - la padrona Alcmena. Come può un servo codardo avere la meglio su un dio? E infatti Mercurio non solo lo riempie di mazzate ma lo convince anche che lui è il vero Sosia. Trattandosi di commedia degli equivoci, l’happy end è assicurato: un po’ cornuti, un po’ mazziati, ma comunque tutti felici e contenti.
Anche il consigliere regionale Gianfranco Chierelli è sicuramente felice di essere stato scagionato dall’accusa di voto di scambio. Nulla però – ha dichiarato – potrà ripagarlo del danno umano ricevuto. Già, perché qui siamo di fronte a un altro doppio, foriero, come nell’antichità, di equivoci e disgrazia. Chiarelli, insieme a tutta la porzione di umanità che costituisce il suo mondo, è stato messo di fronte al proprio doppio, ovvero quello ritratto dalle accuse: un politico che paga la mafia locale per essere eletto. Il processo è stato archiviato, è vero, e il Gip – deux ex machina - ha sentenziato che è quello innocente il vero Chiarelli, non quell’altro, ma anche l’imago era di cera eppure costituiva in tutto e per tutto il doppio del defunto. Il Consigliere, pur certo della sua innocenza, si è trovato l’altro se stesso creato dalla magistratura e dai titoli dei giornali e, sì, gli crediamo, se la sarà vista davvero brutta.            


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