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QUARANT´ANNI E NON SENTIRLI

Pubblicato da: Categoria: EDITORIALI

14
AGO
2015
Era esattamente il 15 agosto del 1975 quando il Perozzi, il Sassaroli, il Necchi, il Melandri e l’impareggiabile Conte Mascetti entrarono fragorosamente nella vita e nel costume degli italiani di quella generazione, e di tutte le successive, per non uscirne mai più. Mario Monicelli, portando a compimento un progetto incompiuto di Pietro Germi, non so quanto consapevolmente e con la magistrale interpretazione di Philippe Noiret, Adolfo Celi, Duilio Del Prete, Gastone Moschin e Ugo Tognazzi, ha realizzato con “Amici miei” un affresco dotato di vita propria che rappresenta lo spirito di sei secoli di noi italiani e della nostra italianità.La supercazzolaprematurata non nasce con il Conte Macetti e non finisce con lui, e riprende lo spirito burlesco che ha attraversato tipicamente la letteratura italiana a partire dal Decameron del Boccaccio per giungere ai nostri giorni. Non opere di pura fantasia ma che affondano le loro radici nella quotidianità dell’Italia del quattrocento ed in quella esperienza unica ed irripetibile che è stata la civiltà dei Comuni. Ne è buona testimonianza una novella di Antonio Manetti, poeta, scrittore, biografo ed architetto del ‘400, nella quale ci racconta di un perfido scherzo ideato da Filippo Brunelleschi, quello della Cupola del Duomo di Firenze, ai danni di un suo amico, il legnaiolo Manetto detto il Grasso. Con la complicità di un incredibile numero di cittadini fiorentini, Il Brunelleschi finisce pe far credere a Manetto di non essere il legnaiolo ma il fannullone Mannini. In profonda crisi d’identità il Grasso, non potendo fuggire da se stesso, decide di fuggire dalla città rifugiando addirittura in Ungheria.Circa tre secoli dopo una simile burla viene architettata dal Marchese del Grillo, anch’egli immortalato da Monicelli e da un irresistibile Alberto Sordi, ai danni del povero carbonaio Gasperino al quale, complice una straordinaria somiglianza, fa credere di essere il vero Marchese Onofrio del Grillo. Sicché le zingarate di Amici miei sono ispirate a fatti realmente accaduti e noti in tutta Firenze. Gli stessi personaggi sono la trasposizione filmica di personaggi realmente esistiti nella Toscana degli anni Trenta.Se gli Amici miei sono ancora tra noi, e dentro ognuno di noi, è perché rimane un retaggio prezioso, quasi un carattere genetico, che abbiamo acquisito in quella strepitosa stagione della cultura prima Umanistica e poi Rinascimentale che ha generato il meglio della cultura italiana ed europea dei secoli a venire.Realtà e finzione si nutrono della burla, dello scherzo, della zingarata che si generano in quell’autentico brodo di coltura rappresentato dal borgo, dal comune, da quel crogiolo di uomini e di identità che si uniscono e si combattono all’ombra del campanile. Questo spirito appare oggi notevolmente affievolito, ma sono convinto che alberga ancora in noi anche se dormiente.Potrebbe essere piacevole trascorrere ancora una serata con gli Amici, alcuni dei quali purtroppo non sono più tra noi, e provare a risvegliare il bell’addormentato. Buon Ferragosto.
 


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